di Michele Prospero
E’ già tempo di bilanci? Certo, il quadro che emerge dalle prime intercettazioni pubblicate dai giornali è per il governo devastante. Bastano poche frasi per smontare la leggenda che con Renzi l’Italia ha ritrovato il leader di polso. I politologi, che nella politica reale penetrano ben poco, narrano di qualità carismatiche sprigionate dal nuovo ceto di governo. E hanno persino promesso allo statista di Rignano un posto di rilievo nel pantheon della storia patria delle istituzioni.
C’è persino chi, una voce dal senno fuggita, ha confrontato Renzi a Giolitti. Taluni analisti salutano nel governo dell’incompetenza l’affermazione di Palazzo Chigi quale luogo mitico della splendida solitudine del potere personale. Ancora una volta sono i magistrati a restituire al pubblico narcotizzato dai media uno squarcio di realtà. Ricatti, centri di potere, ministri sotto schiaffo condizionano le decisioni, ottengono rimozioni di ammiragli, intervengono sulle questioni degli aeroporti fiorentini. Di politica e di autorevolezza traspare ben poco.
Molti rivedono in fretta i giudizi sinora sfornati. E’ rimasto solo un cultore tardomoderno del mito patriottico, come Aldo Cazzullo, a celebrare le grandezze di un leader che è tale perché, così egli dice in Tv, ricorre alle slide, parla direttamente al paese e non si rivolge alle logore istituzioni che meritano l’oblio. Mah. Dai valori appassiti della patria e del dovere, Cazzullo passa alla fascinazione acritica per i trucchi delle narrazioni grottesche che per lui rivelano la misteriosa dote del carisma.
Ma è il solo che resiste nell’incantesimo. Ora che il sipario sta calando su Renzi, anche agli storici torna il lume dell’intelletto critico che si era spento per un furore anticomunista mai sopito, che li aveva indotti a celebrare le avventure di Giamburrasca in lotta contro la nomenklatura rossa. Da fanatico estimatore del carisma del condottiero di Rignano, Ernesto Galli della Loggia ritrova adesso il senso della misura rispetto agli eventi e inquadra più realisticamente Renzi come un politico dilettante, dalle scarse letture e dalla chiacchiera infinita che non è propriamente arte di governo.
Senza le intercettazioni e l’opera di una porzione di magistratura rimasta leale alla repubblica, e non subalterna al potere che aspira a nuovi porti delle nebbie, non ci sarebbe stato il ritorno della realtà in molte penne abituate al conformismo e all’omologazione. Pochi avevano capito che uno che si fa largo con la parola mitica della rottamazione non può mai essere uno statista. Proprio uno che conquista il potere esibendo la clava della distruzione dei gruppi dirigenti è l’ideale per i “quartierini” economici per estendere il loro vorace senso degli affari.
La narrazione ha un difetto cronico. Non dura, ha una vita effimera. La realtà riaffiora rivelando che il governo è espressione di poteri, comitati d’affari. Il comandante in capo non ha il polso del governo. Ignora le regole elementari della conduzione di istituzioni complesse. Renzi e le sue inesperte figure poste al vertice dei ministeri servono alle cricche proprio per condurre meglio i loro affari. Gli danno l’aereo nuovo per sfoggiare l’inglese nel mondo, lo invitano a intrattenere in Tv, gli consentono di piazzare amici in certi posti di potere. Applaudono quando attacca i sindacati, la sinistra. Ma il potere reale è indaffarato nella occulta spartizione delle spoglie operata da combriccole.
La collegialità del governo del capo è resa con trasparente efficacia dalla definizione che Guidi dà di un altro esponente dell’esecutivo: “un pezzo di merda”. La levatura del governo affiora tra meschine guerre di cricche con mani impastate negli affari e attacchi verso esponenti scomodi delle forze armate, tra abbozzi di ricatti per foto con mafiosi e singhiozzi di una donna della grande industria italiana che si sente trattata come “sguattera del Guatemala”. Il linguaggio dell’élite del potere economico non è diverso da quello che si parla nel sottoproletariato. Un governo non politico, rappresenta solo il teatro di gruppi in affari che sgomitano, chiedono, influenzano.
Mentre Renzi simula esercizi di potenza contro il mondo del lavoro, il potere reale resta ben saldo in altre mani. In quelle del non-cittadino Marchionne che trasferisce altrove domicilio e sede legale d’impresa per evitare il fisco ed è presentato da Renzi come modello di superiore civiltà. In quelle del sempre in mezzo Montezemolo, che ha affondato Marino e che a Renzi ha donato pezzi della sua creatura politica con in testa Andrea Romano promosso a custode della ortodossia gigliata. In quelle di Della Valle che ha smesso di cinguettare suoni incomprensibili da quando il comune ha promesso lo stadio nuovo.
L’immagine che ne ha dato Cuperlo in direzione restituisce Renzi alla sua effettiva levatura: un niente con la predilezione alla menzogna politica, alla finzione, alla arroganza, che è la peculiare espressione del nulla, della pochezza, dell’inettitudine. Queste parole valgono anche come uno schiaffo a tanti ex e post comunisti, divenuti diversamente renziani, che hanno consentito ad un giornale apocrifo (lo Zaman italiano) di parlare di Saviano come di “un mafiosetto di quartiere”. Hanno persino assicurato che il partito della nazione in salsa gigliata è il compimento del togliattismo.
Ora, al crepuscolo della narrazione di governo, per questi ex e post che hanno sgomitato per acconciarsi sul carro del rottamatore si raccomanda un lungo silenzio. Dopo le parole cattive e quindi di profonda verità che Cuperlo ha pronunciato, occorrono però delle conseguenze operative sul piano dell’ormai ingiustificato sostegno al governo dell’illegalità, dell’assalto alla costituzione, del plebiscito. All’angolo, Renzi va al contrattacco lanciando la grande battaglia per la banda larga. Ecco, il governo di una banda larga. Ben detto.
Fonte: Pagina Facebook dell'Autore
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