di Ascanio Bernardeschi
È pressoché certo che gli italiani saranno chiamati a pronunciarsi in più tornate, dal 17 aprile di quest'anno alla primavera dell'anno prossimo, sulla riforma costituzionale promossa dal governo Renzi, sulla legge elettorale cosiddetta Italicume su questioni sociali della massima rilevanza (Ambiente, Buona Scuola, Jobs Act ecc.).
In un panorama in cui la quasi totalità dei media è appiattita sulle posizioni governative, questo giornale, che ha già iniziato a trattare questi argomenti, non mancherà di dare il suo contributo di contro-informazione scendendo nei dettagli del metodo e del merito di queste “riforme” (ma l'Avvocato Besostri, facente parte del team che ha impugnato davanti alla Corte Costituzionale il “porcellum”, ottenendone la cancellazione nei suoi punti più odiosi, più correttamente le ha definite “deforme”).
Con questo articolo ci preme invece discutere sulle cause strutturali che hanno ispirato questa sorta di riformismo conficcato sulla carne viva delle diffuse sofferenze sociali e sulla qualità della democrazia. Leggendo in quest'ottica materialista le decisioni del governo, si può cogliere l'unitarietà della manovra e della necessaria risposta. Infatti i singoli provvedimenti oggetto di consultazione popolare, pur essendo attinenti a materie disparate, sono fortemente connessi fra di loro a causa del comune movente.
La crisi profonda che si è manifestata in maniera eclatante nel 2007, ma che stava lavorando sotto traccia almeno dagli anni 70 del secolo scorso e che, diversamente da quanto vogliono farci credere, è ben lungi dall'essere scacciata, ha modificato profondamente gli assetti economici, sociali e gli stessi assetti istituzionali.
Il contrasto alla caduta del saggio del profitto è avvenuto mettendo in azione alcune sue “cause antagoniste” (K. Marx). In primo luogo abbattendo il costo del lavoro. Come? Si è cominciato depennando la scala mobile; quindi si è andati a ridurre le tutele e il potere delle classi lavoratrici organizzate, precarizzando il lavoro, ponendo argini alla contrattazione e ricattandolo con le rilocalizzazioni dei siti produttivi in luoghi in cui il costo del lavoro è infimo: il tutto senza trascurare di contenere anche i costi indiretti e differiti della forza-lavoro (servizi essenziali e pensioni). Infine, coljobs act si è sancita la libertà di licenziamento e il dominio incontrastato del padronato.
L'altro corno della reazione del capitale è stato la sussunzione sotto il suo dominio, di settori di socialità che precedentemente, almeno in buona parte, non rispondevano alla sua logica: quali alcuni aspetti riproduttivi della forza-lavoro, allargando la propria sovranità – cioè privatizzando – su servizi essenziali e beni comuni, anche contro la volontà nitidamente espressa dal popolo, come nel caso dei referendum sull'acqua e sui servizi pubblici, o devastando diritti come quello all'abitare a condizioni non dettate dalla logica del mercato.
Anche il pesante intervento sull'ambiente rientra nella logica di conformare quanto più possibile alle esigenze del capitale il rapporto tra l'uomo e la natura. L'ultimo episodio è quello delle trivellazioni, ma molto altro potrebbe dirsi sulle grandi opere, gli inceneritori dei rifiuti ecc., tutte cose che, come emerge quotidianamente, aprono varchi enormi all'illegalità [2].
La riforma cosiddetta “la buona scuola” rientra a pieno titolo nel tentativo di assoggettare al dominio dell'impresa e del mercato un altro presidio di socialità e di democrazia, adeguandovi la formazione delle future generazioni, concentrando il potere nelle mani dei dirigenti scolastici e rimuovendo una serie di diritti costituzionali, quali quello all'istruzione, in particolar modo delle classi svantaggiate, e la libertà di insegnamento.
Un ulteriore sostegno ai profitti è assicurato dall'impulso assestato alla velocità di circolazione del capitale, che già Marx, nel libro II del Capitale, aveva indicato come un fattore di elevamento del saggio del profitto. Lo si è fatto, sfruttando sia le tecnologie informatiche che la flessibilità estrema del lavoro, con l'attivazione di tecnologie produttive “snelle” e “just in time”, in base alle quali la produzione per il magazzino è stata abrogata e si tende a incassare la validazione del mercato possibilmente ancor prima di mettere in atto il processo lavorativo.
Non va dimenticato infine l'estremo sviluppo della finanziarizzazione che non si è limitato a oliare tutti questi meccanismi ma ha teso a dare vita a profitti di carta che, almeno fino allo scoppio delle bolle, riescono a celare gli incagli dell'economia reale. Il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione, risponde, oltre che all'esigenza di tagliare servizi, e quindi costo della forza-lavoro, e di aprire nuovi spazi per la loro privatizzazione, anche alla necessità che una fetta di risparmi venga dirottata dal finanziamento del debito pubblico alla finanza.
Tutti questi processi sarebbero stati impensabili nell'ambito del rispetto sostanziale del dettato costituzionale. Di fatto la Costituzione, costata sacrifici enormi delle forze più sane del paese, è stata calpestata nei suoi più significativi aspetti. L'imposizione del liberismo più esasperato ha richiesto l'accantonamento sia dei diritti sociali che delle garanzie democratiche. La previsione di limiti all'iniziativa privata e dell'intervento pubblico quando essa non è in grado di assicurare la socialità diffusa, l'elevamento a diritti inviolabili del lavoro, di un salario decoroso e altrettanto di un reddito per la vecchiaia, della salute, dell'istruzione, era un ingombro che si è cercato di bypassare semplicemente ignorando gli aspetti “programmatici” della nostra Carta.
La stessa adesione ai trattati europei, ispirati dal più estremo liberismo, è andata in direzione opposta all'attuazione della Costituzione [3].
Ma per imporre un simile massacro di diritti era necessario realizzare una società passivizzata. Ed ecco che anche una serie di diritti democratici sono stati lesi concentrando i mezzi di informazione in poche mani, devastando il sistema elettorale, scoraggiando la partecipazione alla vita politica, alimentando il qualunquismo e l'egoismo in alternativa alla resistenza sociale.
Con la proposta di riforma costituzionale del governo Renzi associata al sistema elettorale “italicum”, imposti anche violando le procedure che assicurano i diritti delle minoranze, si vuol porre il tassello finale allo smantellamento della nostra carta fondamentale, concentrando tutti i poteri nelle mani dell'esecutivo e riducendo praticamente gli organi di garanzia a sue emanazioni. Del resto i circoli della finanza internazionale non ne fanno mistero. Per esempio la società finanziaria statunitense J.P. Morgan, tra i principali responsabili della crisi dei mutui “subprime”, almeno secondo quanto ha asserito il governo americano, ha con chiarezza esposto nel 2013 il suo punto di vista: "i sistemi politici dei paesi europei del Sud e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano caratteristiche inadatte a favorire l'integrazione. C'è forte influenza delle idee socialiste". Quindi non è possibile tollerare “la tutela costituzionale dei diritti dei lavoratori” o i “limiti alle azioni degli esecutivi” [4].
l 17 aprile siamo chiamati a mettere un Sì nelle schede del referendum contro le trivelle. Ancor prima inizia la raccolta delle firme per richiedere il referendum abrogativo dell'Italicum. Seguirà a breve, appena licenziata definitivamente la “deforma” costituzionale, la raccolta di firme per il relativo referendum. L'impegno dei comunisti deve essere pieno. E anche consapevole del fatto che una battaglia puramente difensiva non può possedere il necessario respiro. Proprio perché la Costituzione, in parte stravolta nei fatti e in parte nella stessa forma testuale, è gravemente ammalata e comunque largamente inattuata (altro che sana e robusta Costituzione!), respingere il disegno di Renzi è necessario ma non sufficiente. Occorre rilanciare i valori autentici della nostra Repubblica fondata sul lavoro, rendendoli esigibili e adeguati alle esigenze attuali non del capitale, ma delle classi lavoratrici. Serve conquistare di nuovo una carta che sia il viatico per un modello sociale alternativo in cui tali classi tornino a essere protagoniste.
Fonte: La Città futura
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