di Luca Tancredi Barone
Hanno aspettato di sbollire la rabbia tutta una notte prima di parlare in pubblico. Cancellata la conferenza stampa prevista giovedì sera dopo l’incontro con Ciudadanos e Psoe, Pablo Iglesias e i suoi si sono riuniti ieri mattina in parlamento con tutto il gruppo parlamentare e con gli alleati galiziani di En marea e quelli catalani di En comú podem. E hanno reso pubblico quello che tutti si aspettavano: il patto a tre, il «199» come lo chiama Pedro Sánchez riferendosi al numero di seggi corrispondente alla somma di Psoe, Ciudadanos e Podemos, è impossibile.
Ma Podemos non ci sta a prendersi la colpa. E rilancia: vogliamo essere «molto chiari e onesti con i cittadini spagnoli», ha detto. Per questo sottoporrà ai suoi 400mila militanti due domande vincolanti: una maniera abile per schivare l’accusa di aver fatto saltare l’accordo. «Vuoi un governo basato sul patto Rivera-Sánchez?» e «Sei d’accordo con la proposta di governo del cambiamento difesa da Podemos – En marea – En comú podem?».
Iglesias ha detto che appoggia una risposta negativa alla prima domanda e una positiva alla seconda, e che se i militanti la pensassero in modo diverso ne «assumerà le responsabilità politiche».
Iglesias ha detto che appoggia una risposta negativa alla prima domanda e una positiva alla seconda, e che se i militanti la pensassero in modo diverso ne «assumerà le responsabilità politiche».
In realtà le cose non sono cambiate dal 20 dicembre. Il Partito socialista aveva due opzioni davanti: lavorare con Ciudadanos e il Pp da un lato per una specie di Grosse Koalition iberica, appoggiata direttamente o indirettamente dal Pp; o una soluzione portoghese, inevitabilmente appoggiata indirettamente anche dai partiti indipendentisti o da Ciudadanos con una astensione tecnica. Ma invece di tentare un accordo a sinistra per poi trovare il modo di convincere Ciudadanos e qualcun altro ad astenersi, Sánchez, con le mani legate dall’ampio settore immobilista e centralista del partito, ha scelto di fare prima un patto con Ciudadanos, che aggiungeva solo 40 seggi ai suoi 90, per poi cercare di costringere Podemos ad accettarlo. Una possibilità che Podemos non ha mai preso in considerazione.
D’altra parte, Podemos è stato subito molto aggressivo con i socialisti, dando loro l’alibi perfetto per iniziare le negoziazioni a destra invece che a sinistra, nella disperazione di Izquierda Unida e dei valenziani di Compromís, che hanno cercato in tutti i modi di far sedere allo stesso tavolo Podemos e Psoe. La sceneggiata dell’incontro pubblico fra Iglesias e Sánchez alla fine c’è stata subito dopo Pasqua, ma fuori tempo massimo.
Dati i colpi di scena di queste settimane ancora tutto è possibile. Ma sembra che ormai il copione sia stato scritto. Tra giovedì e sabato i militanti di Podemos rigetteranno il governo rosso-arancione, il che implica che si dovrà tornare a votare nonostante i sondaggi prevedano uno stallo bis (a meno che stavolta il Podemos non accetti di allearsi con Izquierda Unida a livello nazionale, nel qual caso la legge elettorale potrebbe consentire il sorpasso sul Psoe).
Iglesias ha chiesto polemicamente al Psoe di essere altrettanto chiaro coi suoi militanti, a cui invece aveva sottoposto una domanda molto generica. «Magari il Psoe chiedesse ai suoi militanti se preferiscono un’alleanza con Podemos o Ciudadanos, sarebbe bellissimo», ha detto.
Per il sempre più probabile voto a giugno, ancora una volta la Catalogna sarà chiave. Pur avendo messo da parte nei negoziati degli ultimi giorni la questione referendum, Podemos (assieme a Iu) rimane pur sempre l’unico partito nazionale a difendere il diritto all’autodeterminazione. E nell’incontro di ieri fra Iglesias e il presidente catalano Puigdemont inevitabilmente uno dei temi sul tappeto è stato proprio questo.
Fonte: il manifesto
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