di Sara Khorshid
E' come se Giulio Regeni fosse stato crocifisso per noi, ma invece di togliere i nostri peccati ha esposto quelli dell'Egitto e dei potenti del mondo.
Possiamo anche non avere la certezza che siano stati i servizi di sicurezza egiziani a torturarlo e ucciderlo. Potremmo anche non saperlo mai - semplicemente perché le élite corrotte non permettono la trasparenza e non mettono a disposizione le informazioni. Tuttavia sappiamo che è sparito nel quinto anniversario della rivoluzione del 25 gennaio, quando gli apparati di polizia egiziani erano in stato di massima allerta e pattugliavano le strade per prevenire qualsiasi tentativo di commemorazione pubblica della rivolta del 2011.
Regeni è scomparso mentre camminava all'aperto in un giorno nel quale il Cairo brulicava di forze dell'ordine.
Quali che siano i dettagli sulla morte di Regeni, egli è comunque il nostro Messia poiché il suo assassinio sta facendo parlare il mondo intero delle numerose violenze che, ne siamo sicuri, sono accadute per mano delle forze di sicurezza egiziane: i 533 casi di sparizione forzata negli ultimi otto mesi e i 396 casi non ancora chiariti, secondo il Corriere della Sera. Le uccisioni extra-giudiziali, incluse quelle dei cinque uomini usati dal ministero dell'Interno come capri espiatorii per sostenere che erano i criminali accusati di aver ucciso Regeni. L'allungamento della detenzione preventiva. La tortura applicata ai detenuti e ai sospettati. Le centinaia di persone che sono state ammazzate durante una protesta, e i 37 che sono stati uccisi con i gas lacrimogeni accesi in una camionetta della polizia in un giornata caldo al Cairo.
Regeni ha costretto il mondo a porre insieme a noi le domande che prima della sua morte avevano ignorato, volutamente o per smemoratezza: che cosa è successo allo studente italiano scomparso al Cairo mentre si dirigeva a una fermata della metro? E cosa è accaduto al video-editor egiziano che è andato a comperare qualcosa da mangiare e non è mai tornato (si chiamava Mustafa Massouny e il fatto risale a otto mesi fa)? Dove è finito lo studente di ingegneria preso all'entrata dell'università e sparito nel nulla? Dove sono gli altri? E perché l'Italia, partner commerciale importante e buon alleato dell'Egitto, non ha mai minacciato misure "immediate" contro il governo egiziano?
Regeni ha reso palese l'ipocrisia dei politici occidentali che sono rimasti in silenzio sui casi di tortura e sparizione forzata per oltre due anni, e poi hanno parlato soltanto quando questo destino ha colpito un italiano. Qual è il valore degli accordi commerciali e degli investimenti che l'Italia e gli altri paesi occidentali coltivano con l'Egitto? Hanno più valore della vita, della sicurezza e della libertà degli innocenti? Regeni ci ha costretti a fare altre domande ancora.
Regeni ha fatto rinascere la solidarietà tra coloro che combattono contro l'ingiustizia e l'oppressione. Abbiamo imparato nei primi mesi del 2011 che il segreto della vittoria delle persone comuni sui tiranni è il momento nel quale capiscono di essere uniti per una causa - smettendo così di essere "comuni".
E qui stiamo ricordando che la sparizione forzata di Regeni, la tortura e il suo assassinio "non è un caso isolato" (in italiano nel testo, ndT), come ha dichiarato la mamma Paola Regeni durante la conferenza stampa a fine marzo.
Suo figlio è diventato un simbolo come Khaled Said, che aveva 28 anni come Regeni ed è stato torturato a morte dalla polizia egiziana nel 2010. La pagina Facebook aperta in sua memoria ha organizzato le proteste del gennaio 2011, ha unito gli egiziani e ha acceso la miccia della rivoluzione. Paola è diventata "la madre di un martire", così come la madre di Khaled Said e molte altre mamme di "martiri" che noi onoriamo - perché suo figlio "è stato ucciso come un egiziano".
In queste ore una delegazione ufficiale egiziana si trova a Roma (si riferisce all'incontro del 7 aprile, ndT) per presentare il risultato dell'indagine sul caso Regeni, e molti egiziani si trovano in uno stato di confusione e incertezza.
Naturalmente, da molto tempo - prima ancora del caso di Khaled Said - il ministro dell'Interno egiziano ha pochissima, anzi, nessuna credibilità. Allo stesso tempo molti egiziani che non credono a una parola del ministero dell'Interno non ritengono particolarmente credibile nemmeno la posizione ufficiale dell'Italia. Negli ultimi anni Roma ha mostrato un supporto pragmatico al governo egiziano, una vicinanza che è continuata senza essere scalfita nonostante la repressione nei confronti dei dissidenti.
Anche dopo l'uccisione di Regeni il governo italiano ha avuto una reazione debole alla scomparsa dello studente e al fatto che la polizia egiziana non riuscisse a sbrogliare la mattassa; poi la posizione è diventata più decisa, e per questo molti hanno pensato che stesse dando maggiore attenzione all'assassinio di un proprio cittadino soltanto perché in Italia era aumentata l'attenzione al caso. Questo atteggiamento fa sorgere qualche dubbio circa la sincerità del governo italiano quando esprime considerazione per la vita di Regeni e per i diritti umani in generale.
La morte di Regeni non ha fatto risorgere l'incompiuta rivoluzione egiziana né sta spingendo i politici ad avere maggiore attenzione a quei diritti e valori dei quali importa loro molto poco. Ma la sua morte ha fatto risorgere la solidarietà tra quelle persone che si impegnano contro l'oppressione e le violazioni in Egitto e altrove. Questa solidarietà, e il senso collettivo di azione che l'accompagna, non dovrebbero essere sottovalutate.
Questo blog è apparso originariamente nell'edizione statunitense dell'Huffington Post, traduzione dall'inglese di Laura Eduati.
Fonte: Huffington post - blog dell'Autrice
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