di Riccardo Chiari
Nonostante le tardive politiche monetarie espansive di Francoforte, il cavallo non beve. O forse non ha accesso all’acqua. Così il pil pro capite italiano è ai minimi da 10 anni (25.256 euro), e soprattutto l’Italia è divisa in due. Spaccata. Con gli abitanti del nord ovest che superano quota 30mila (30.821), doppiando il Mezzogiorno, fermo a 16.761 euro. Questo è il dato del rapporto “Noi, Italia” dell’Istat che più salta agli occhi. E colpiscono le rilevazioni riguardanti il lavoro, peraltro in linea con i dati negativi del prodotto interno lordo pro capite: ci sono 55,1 persone in età non lavorativa ogni 100 in età lavorativa – valori in costante ascesa – e nella fascia di età dai 24 ai 64 anni quattro persone su dieci non hanno un lavoro. Con un forte squilibrio a sfavore delle donne (70,6% gli uomini occupati, 50,6% le donne), e con un netto divario territoriale tra l’occupazione al centro-nord e quella al sud.
La povertà relativa coinvolge circa il 10% delle famiglie, quella assoluta un altro 5,7%. Nel 2014 l’indicatore di grave deprivazione materiale, spia delle difficoltà economiche, segna una piccola riduzione (dal 12,3 all’11,6%), ma il problema riguarda ben 7 milioni di persone, quattro delle quali nelle regioni del meridione. Non certo per caso, sale al 14% l’incidenza del lavoro precario a termine nel 2015, ed è più alta al sud (18,4%) rispetto al centro nord (12,5%). Quanto agli occupati a tempo parziale (18,5%), anche in questo caso è un dato in crescita. Mentre restano al palo gli investimenti, fermi a un 17% scarso.
L’ennesima conferma di una situazione molto difficile arriva dal parametro dei consumi elettrici, spia della produzione manifatturiera. Nel 2014 i consumi elettrici sono scesi del 3% rispetto al 2013, così come è scesa la produzione (-4,3%). I consumi sono al valore più basso degli ultimi 12 anni, dall’ormai lontano 2004. Unica, piccola consolazione è la quota del 31,3% di consumi da rinnovabile, che vede l’Italia superare la media Ue (25,4%).
A proposito di Ue, con 60 milioni e 656mila residenti l’Italia è il quarto paese più popoloso dopo Germania, Francia e Regno Unito. Ma nella classifica del lavoro, l’11,7% di tasso di disoccupazione – dato non comprendente chi lavora saltuariamente con voucher et similia – resta altissimo. Nella Ue soltanto la Grecia, la Croazia e la Spagna hanno tassi di occupazione inferiori al 56,4% italiano. Per giunta il 58,1% dei senza impiego cerca lavoro da oltre un anno.
Va da sé che soprattutto fra i giovani impera la disillusione. Se Mario Draghi parla del forte rischio di una generazione perduta, i numeri dell’Istat raccontano che il 25,7% degli italiani e italiane fra i 15 e i 29 anni non studiano e non lavorano. L’incidenza è lievemente più elevata fra le donne (27,1%), e molto più marcata nel Mezzogiorno: in Sicilia e Calabria sfiora il 40%. Non è certo di consolazione vedere che rispetto al 2014 i cosiddetti Neet sono lievemente diminuiti, visto che erano il 26,5%. Si tratta comunque del primo ribasso dal 2008.
La fotografia dell’Istat rileva poi una continua diminuzione del numero medio di figli per donna. Nel 2014 si attesta a 1,37, rispetto al 2,1 per garantire il ricambio generazionale. Per fortuna ci sono gli immigrati: all’inizio del 2015 ne sono stati censiti oltre 5 milioni (1,9% in più rispetto al 2014), che rappresentano l’8,2% del totale dei residenti. E hanno una istruzione poco inferiore agli italiani: tra i 15-64enni quasi la metà degli stranieri ha la licenza media, il 40,1% ha un diploma superiore, e il 10,1% una laurea (tra gli italiani il 15,5%).
Ultima cattiva notizia: per la prima volta negli ultimi 10 anni, nel 2015 la speranza di vita è arretrata di 0,2 punti per gli uomini (80,1) e 0,3 per le donne (84,7). Nel Mezzogiorno, al solito, siamo sotto la media nazionale. Quanto alla sicurezza, omicidi e rapine sono in calo da tempo, mentre aumentano lievemente solo i furti. Eppure nel 2015 le famiglie che hanno percepito un elevato rischio di criminalità sono state il 41,1%, rispetto al 30% del 2014, riprendendo il trend di crescita interrotto solo nell’anno precedente.
Fonte: il manifesto
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