di Mario Seminerio
Del Documento di Economia e Finanza 2016 (DEF), licenziato dal consiglio dei ministri giovedì scorso, è utile mettere in rilievo due evidenze. La prima è relativa alle modalità di copertura della parte di deficit non beneficiata dalla cosiddetta flessibilità europea; la seconda è un dato consuntivo, che segnala che nel 2015 la crescita della produttività del lavoro italiano è rimasta al palo.
Sul deficit, e come ormai noto, l’Italia è riuscita a strappare un deficit-Pil 2017 a 1,8% in luogo dell’1,1% previsto dalla nota di aggiornamento DEF dello scorso settembre e di 1,4% previsto dal quadro tendenziale. Questo 0,7% di Pil “recuperato” alla flessibilità implica che il governo italiano dovrà comunque reperire soldi “veri”, considerando che le clausole di salvaguardia che scatterebbero nel 2017 rappresentano lo 0,9% del Pil, a cui vanno sommate le misure di allentamento fiscale previste dal governo. Mancherebbero all’appello quindi circa 8-9 miliardi di euro.
«L’intendimento del Governo nell’impostazione della prossima Legge di Stabilità è quello di sterilizzare le clausole attuando una manovra del tutto diversa. Essa verrà definita nei prossimi mesi e garantirà il raggiungimento di un indebitamento netto pari all’1,8 per cento del PIL nel 2017 attraverso un mix di interventi di revisione della spesa pubblica, ivi incluse le spese fiscali, e di strumenti che accrescano la fedeltà fiscale e riducano i margini di evasione ed elusione. Ciò ferma restando la prosecuzione, compatibilmente con gli equilibri di bilancio, del processo di riduzione del carico fiscale che grava sui redditi delle famiglie e delle imprese. Nel biennio 2018-2019 si amplierebbero in particolare le misure riguardanti la spending review. Si continuerà inoltre lo sforzo organizzativo e normativo volto ad aumentare il gettito fiscale a parità di aliquote attraverso il contrasto all’evasione e il miglioramento della fedeltà fiscale»
Tradotto: lotta all’evasione ed aumento della compliance fiscale ma anche intervento sulle cosiddette tax expenditures, cioè sulle agevolazioni fiscali. Questa è la voce carsica che ogni anno viene messa in rampa di lancio per la revisione, che invariabilmente non avviene, mentre nuove leggi e leggine aumentano i buchi di gettito attraverso nuove “agevolazioni”. Ricordiamo che fu lo stesso Matteo Renzi a stoppare l’ipotesi di revisione, nelle due leggi di stabilità da egli firmate, con la motivazione (formalmente corretta) che il processo si sarebbe risolto in un aumento della pressione fiscale complessiva. Verissimo, anche perché obiettivo della revisione delle tax expenditures sarebbe quello di allargare la base imponibile ma ridurre contestualmente le aliquote nominali, in modo da eliminare le distorsioni indotte dall’elevato livello di quest’ultime. Quindi, per l’ennesima volta, Renzi si prepara a smentire se stesso, in un modo o nell’altro. Ah, e poi c’è l’immancabile spending review, ci mancherebbe.
Altro elemento interessante del documento, come si accennava, è un dato a consuntivo, relativo alla produttività del lavoro nel 2015. Come si nota dalla tabella II.3c a pagina 26 del documento, lo scorso anno gli occupati di contabilità nazionale (le teste) sono aumentati dello 0,6%, mentre il monte ore lavorate è cresciuto dello 0,9%. Se raffrontiamo questi numeri all’aumento del Pil reale (pari allo 0,8%, non corretto per i giorni lavorati), otteniamo che la produttività del lavoro misurata sugli occupati è aumentata dello 0,2%, ma quella misurata sulle ore lavorate (che è quella che conta maggiormente), è addirittura diminuita dello 0,1% (fate la differenza tra crescita del Pil reale e variazioni di occupati e monte ore). Per il 2016 il DEF prevede una crescita nulla della produttività misurata sulle ore lavorate, e solo nel 2018 ci sarebbe un piccolo balzo in avanti, dello 0,6%.
Due considerazioni su questo dato a consuntivo: come si possa parlare di efficacia delle riforme strutturali in presenza di andamento stagnante o addirittura in contrazione della produttività del lavoro, resta un mistero. In secondo luogo, e come vi dicevamo nel corso del 2015 ad ogni mirabolante aumento di occupazione, se quest’ultima cresce più del Pil, significa che la produttività flette, e questo no buono. A meno che, come sospettiamo, l’aumento di occupazione sia stato gonfiato artificialmente dai sussidi del Jobs Act, e di conseguenza questo “prestito” di occupati verrà restituito, con gli interessi, appena i sussidi verranno meno. L’economia, questa stronza.
Eppure, basterebbe memorizzare una semplice regoletta: la crescita del Pil deriva dall'aumento delle forze di lavoro (in termini di numero persone e di ore lavorate) e dalla crescita della produttività del lavoro. Punto. Non vi serve altro per orientarvi. Ditelo a Renzi, in caso.
Tra le altre previsioni sfiziose del DEF, il quadro macroeconomico tendenziale mostra che gli investimenti, cresciuti nel 2015 di solo lo 0,8%, nel 2016 schizzeranno del 2,2%. Dato il quadro macro globale, un discreto atto di fede. Ma dimenticavamo, l’Italia sviluppa una crescita autoctona ed autosostenuta, che la isola felicemente dal contesto internazionale. Anche se molto più spesso dalla realtà.
Fonte: phastidio.net
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