di Alfredo Somoza
Correva il novembre del 1999 e il primo Presidente del Consiglio italiano post-comunista, Massimo d’Alema, inaugurava a Firenze il grande vertice dei socialisti aderenti a una “terza via” tra conservatori e massimalisti. Corre il 2016 e in Vaticano si radunano leader dichiaratamente socialisti, figli della rivoluzione politica che ha scosso il Sud America insieme all’unico politico che abbia mai rivendicato il suo essere di sinistra nel mondo politico statunitense.
Dei leader del ‘99 si sono perse le tracce o sono rotolati in scandali e fallimenti: Blair, Cardoso, Schroeder, Jospin, Clinton. I leader di oggi partecipano a un Simposio in Vaticano a 25 anni dall’Enciclica Centesimus annus di Karol Wojtyla e a cent’anni dalla Rerum Novarum di Leone XIII . Sono il presidente boliviano Evo Morales, l’ex cocalero che parla della Pachamama (madre terra), Rafael Correa dell’Ecuador che nella sua Costituzione ha introdotto il concetto del “buen vivir” e il senatore socialista del Vermont Bernie Sanders che sta lottando alla pari con la candidata dell’establishment Hillary Clinton per la nomination a presidente della prima potenza mondiale.
Quelli della Terza via blairiana avevano una visione comune sulla società e l’economia, che secondo loro, andavano scosse con riforme profonde che cambiassero radicalmente il ruolo storico dello Stato nella concezione socialdemocratica, da protagonista e regolatore a mero arbitro “amichevole” delle logiche di mercato. I politici radunati dal Vaticano 17 anni dopo rilanciano invece con forza la centralità dello Stato come attore economico e responsabile della redistribuzione del reddito, non attraverso la mano invisibile del mercato, ma grazie a quella più concreta dei fondi pubblici.
La Terza Via di Clinton e Blair è stata ormai consegnata alla Storia e alcuni che all’epoca erano entusiasti promotori, vedi D’Alema, hanno fatto addirittura autocritica. La via “andina” ha invece conosciuto tempi migliori, perché dopo anni di crescita economica e aumento del benessere, i paesi governati da Correa e da Morales risentono dalla crisi internazionale e i loro dirigenti non sono stati così bravi a gestire la carestia di fondi pubblici quanto lo sono stato ai tempi delle vacche grasse.
Ma cosa hanno in comune con Papa Francesco questi personaggi? La sensibilità ambientale, l’idiosincrasia gesuitica sul denaro, la sensibilità francescana verso i temi ambientali, la scelta di servire gli ultimi, il disprezzo dello spreco e in fondo della moderna società dei consumi. Si tratta questa di una non tanto insolita saldatura tra un filone storico della sinistra latinoamericana, la sensibilità paradossalmente quasi anticapitalista del candidato radical statunitense e la dottrina sociale della Chiesa nella versione del primo Papa latinoamericano. In definitiva anche questi leader invitati in Vaticano costituiscono una “terza via” rispetto ai conservatori e ai progressisti all’europea o alla Clinton. Una nuova tappa nella lunghissima storia del socialismo nato alla fine del ‘800, ma con la novità assoluta della centralità di un Papa che diventa punto di riferimento globale per una scuola di pensiero politico.
I gesuiti sono stati sempre accusati di tramare nelle ombre, ma il loro primo Pontefice fa invece politica e diplomazia a volto scoperto, riuscendo in un impresa sulla quale ai tempi delle dimissioni di Papa Ratzingernessuno avrebbe scommesso un euro: vedere il Vaticano al centro della politica e della diplomazia internazionale e il Papa come punto di riferimento di un variegato schieramento mondiale di leader che condividono con lui principi, parole d’ordine e narrazione.
Fonte: Radio Popolare
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