di Bruno Tinti
Nel 2004 Carolina di Monaco e suo marito, il principe di Hannover, andarono a sciare mentre il padre di Carolina, principe Ranieri, giaceva malato nel suo letto. Fotografati sulle piste, ritennero che l’opinione pubblica avrebbe concluso che della malattia dell’augusto genitore poco gliene importasse. Sicché ricorsero alla CEDU, dopo che i giudici tedeschi avevano respinto la loro richiesta di vietare la pubblicazione delle foto, invocando tutela della loro vita privata.
Il 7/2/2012 la Corte accolse il ricorso con riferimento a tutte le foto salvo una, inserita in un articolo sulla malattia del principe Ranieri. Spiegò la CEDU che “la malattia del principe regnante costituiva avvenimento d’interesse generale, e quindi la stampa ben poteva riferire del modo in cui i figli conciliavano con i doveri di solidarietà familiare le legittime esigenze della loro vita privata, segnatamente il bisogno di vacanza.”
Ciò perché “sulla base della loro incontestabile notorietà, i ricorrenti vanno considerati come persone pubbliche, e non come ordinarie persone private; la foto in contestazione, alla luce degli articoli che l’accompagnavano, poteva contribuire ad un dibattito d’interesse generale”.
Ciò perché “sulla base della loro incontestabile notorietà, i ricorrenti vanno considerati come persone pubbliche, e non come ordinarie persone private; la foto in contestazione, alla luce degli articoli che l’accompagnavano, poteva contribuire ad un dibattito d’interesse generale”.
Nel 2009 un giornalista finlandese, Mika Lahtonen, raccontò di un poliziotto che aveva commesso reati approfittando della sua qualifica. Condannato a una sanzione penale per violazione della vita privata del poliziotto, Lahtonen ricorse alla CEDU che, il 17/1/2012, accolse il ricorso: la condanna penale del giornalista era “misura eccessiva e non necessaria in una società democratica”.
Fotografie e informazioni tratte da rapporti di polizia non si differenziano, sul piano concreto, da intercettazioni telefoniche. Si tratta comunque di informazioni sulla vita privata che, inoltre, presentano una garanzia di autenticità (si tratta di notizie provenienti dalla viva voce dell’interessato) molto superiore a quella di qualsiasi altra informazione che può derivare da documenti (falsificabili), testimonianze (possono essere false), rapporti o relazioni (possono essere inattendibili). E, secondo CEDU, la qualità di personaggio pubblico (e, nel caso finlandese, la rilevanza penale dei fatti) prevale sulla tutela della privacy. Può dunque darsi per giuridicamente acquisito che la pubblicazione di intercettazioni penalmente rilevanti (nel che è insito l’interesse pubblico a conoscerle); e anche non penalmente rilevanti, quando si riferiscano a personaggi che siano persone pubbliche; è – per parafrasare la CEDU – “necessaria in una società democratica”.
Diverso problema è se fonte di informazioni penalmente irrilevanti ma di pubblico interesse possa essere il procedimento penale. Il Procuratore della Repubblica di Torino, Armando Spataro, ha bene spiegato perché ciò non deve essere consentito. Prima di tutto perché la funzione del processo penale non è quella di procurare all’opinione pubblica informazioni utili al controllo della vita democratica del Paese: essenziale che sia questo controllo, esso non rientra nei compiti propri dell’Autorità Giudiziaria. E poi perché è la legge che impone la distruzione delle intercettazioni penalmente irrilevanti. Potrebbe essere giusto modificarla alla luce della giurisprudenza CEDU (il problema è complesso, mi riservo di tornarci) ma, al momento, le si deve obbedienza. Certo è che regole precise sulla pubblicazione delle intercettazioni già esistono e che le fibrillazioni della politica sulla necessità di una nuova legge nascondono la voglia di garantire l’inconoscibilità del loro malaffare.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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