di Alberto Negri
Sotto la duplice minaccia del terrorismo jihadista e della pressione migratoria l’Europa corre ai ripari con misure che in alcuni casi possono sembrare strumenti necessari e in altri, come i muri anti-rifugiati, rischiano di decretare la fine dell’Unione. Siamo al paradosso: da una parte il Parlamento di Strasburgo regolamenta le prassi da attuare nella lotta al terrorismo, dall’altra gli Stati, affondando Schengen e la libera circolazione, disegnano i “loro” confini europei, cioè decidono dove comincia o finisce la stessa Unione.
In questo modo, come dimostra l’iniziativa dell’Austria al Brennero, si sgretola la fiducia e la cooperazione tra Stati membri, che è poi la base essenziale per essere efficaci sia nella lotta al terrorismo che nella regolamentazione dei flussi dei migranti.
La direttiva del Parlamento europeo per cui le compagnie aeree saranno obbligate a comunicare alle autorità, attraverso il codice di prenotazione Pnr, i dati dei passeggeri per tutti i voli provenienti da Paesi terzi verso l’Unione europea e viceversa, appare una decisione quasi obbligata, anche se solleva perplessità sulla privacy dei cittadini.
Questo è un testo di compromesso che mira a contrastare il fenomeno terroristico dei foreign fighters, elaborato con un dibattito nato cinque anni e diventato di tragica attualità dopo gli attentati di Parigi e di Bruxelles.
Questo è un testo di compromesso che mira a contrastare il fenomeno terroristico dei foreign fighters, elaborato con un dibattito nato cinque anni e diventato di tragica attualità dopo gli attentati di Parigi e di Bruxelles.
I terroristi sono più veloci della macchina burocratica europea. E non basta immagazzinare dei dati, bisogna anche saperli incrociare ed elaborare. Attraverso la raccolta, la condivisione e l’analisi delle informazioni dei Pnr le agenzie di intelligence saranno in grado di rilevare i sospetti. L’idea è quella di smascherare in anticipo i loro spostamenti. In realtà intercettare i terroristi attraverso la carta d’imbarco o i documenti non è automatico: serve la collaborazione tra le intelligence per lavorare sul terreno. Il caso dei jihadisti di Bruxelles che ruotavano intorno al quartiere di Mollenbeck è emblematico: hanno attraversato in auto diverse frontiere senza che nessuno li fermasse o li segnalasse.
Ma ora si sta andando oltre. La violenza terroristica e la sfida delle migrazioni, spesso impropriamente associate nella percezione pubblica, stanno mettendo alla frusta la geopolitica europea e quella italiana: ignorato per anni il Mediterraneo è diventato ora il centro di ogni discussione. Con l’afflusso di un’umanità precaria e disperata, in contemporanea con le stragi jihadiste, il Mediterraneo viene considerato una minaccia da cui difendersi che spinge gli europei a erigere improbabili sbarramenti oppure a proporre nuove spedizioni militari sulla quarta sponda, come se non fosse bastata l’ultima nel 2011 che ha disintegrato la Libia. Davanti ai muri che si alzano, dettati dal timore dell’invasione dei “barbari” _ che però sono trasformati, quando servono, in utile manodopera a basso costo_ l’Italia deve avere una sua politica alternativa: della Libia, considerata un serbatoio di profughi e di destabilizzazione oggi si vedono soltanto i mali e non le cure. Far ripartire la sua economia e la vita quotidiana serve più che bombardare l’Isis: saranno i libici, con qualche aiuto esterno, a eliminare i jihadisti.
Di fronte all’implosione sanguinosa del Levante e alla profonda crisi che coinvolge il Medio Oriente, il Nordafrica e il Sahel, la risposta degli stati europei finora è stata quella dell’ossessione securitaria che sta balcanizzando l’Unione in fortini xenofobi: di questo passo si rischia la stessa fine dell’ex Jugoslavia che cominciò a sgretolarsi proprio in quel fatale 1989 del crollo del Muro di Berlino. Ma tutti allora afferravano come souvenir mattoni da un Muro che, imprevedibilmente, sarebbero serviti a costruirne altri.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore
Fonte: Pagina Facebook dell'Autore
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