di Andrea Boda
La Quaestio Sgr, società di gestione di diritto lussemburghese che fino ad oggi ha amministrato masse per 10 miliardi di euro, ha annunciato il lancio del fondo Atlante. Secondo le dichiarazioni di intenti dei sottoscrittori (banche, assicurazioni, fondazioni, con la partecipazione di Cassa depositi e prestiti) il fondo raccoglierà tra i 5 e i 6 miliardi. Le finalità del fondo sono di assicurare il successo degli aumenti di capitale in arrivo nel settore bancario.
Il fondo promette anche di sottoscrivere le tranche junior delle cartolarizzazioni di crediti deteriorati (cd. non performing loans – Npl), aiutando così i bilanci delle banche. La partecipazione di Cdp richiede un’autorizzazione della Commissione Ue, per appurare che la manovra non costituisca aiuto di Stato, ma il livello contenuto della sua partecipazione (20%) dovrebbe garantire formalmente la natura privata del fondo.
A fianco della nascita del fondo arriva l’impegno del governo a riformare la disciplina fallimentare per velocizzare l’escussione delle garanzie, e portarla intorno ai 2-3 anni: adesso la media italiana è attorno ai 7,5 anni. Questi tempi straordinariamente lunghi sono infatti il motivo principale per il quale ad oggi i crediti deteriorati in Italia sono valutati molto poco: sul mercato sono acquistati attorno al 20% del valore nominale, mentre il fondo Atlante parrebbe intenzionato a rilevarli a prezzi tra il 40% ed il 44% del valore nominale.
Lo schema del fondo ha tutte le caratteristiche di una partita di giro: un veicolo alimentato dalle banche, finalizzato a comprare dalle stesse banche gli Npl a prezzi doppi rispetto ai “prezzi di mercato” è un artificio contabile di pregevole destrezza. Non vanno però dimenticate le condizioni in cui si colloca la nascita di questo fondo: il sistema bancario italiano ha sofferto fino ad oggi la difficile prospettiva della gestione di una nuova tornata di aumenti di capitale sulle banche.
I profitti e i dividendi degli istituti di credito sono scesi molto negli ultimi 10 anni,nello stesso periodo sono state lanciate moltissime operazioni di aumento di capitale. Il risultato è stato che gli azionisti di peso delle banche, fondazioni e casse di risparmio, si sono ritrovati a corto di liquidità. Risulta difficile pensare che futuri aumenti di capitale, che apparivano di giorno in giorno sempre più impellenti, potessero essere sottoscritti: se gli azionisti sono senza disponibilità e l’attività non è profittevole chi mai sottoscriverà le nuove azioni?
Creare un soggetto mutualistico che rassicura il mercato sul buon esito degli aumenti di capitale è certamente positivo, perché scaccia o quantomeno allontana certe legittime preoccupazioni, riducendo una pressione sui prezzi delle azioni che, a sua volta, poteva generare maggiori esigenze di capitale. È chiaro, però, che la dimensione del fondo, 5-6 miliardi, rapportata alla dimensione dei crediti deteriorati (circa 200 mld) appare modesta, soprattutto se si considera che una parte non trascurabile delle risorse potrebbe essere spesa per garantire l’esito di aumenti di capitale: ne sono attesi tre (quelli della Popolare di Vicenza, di Veneto Banca e Banco Popolare) già nei prossimi tre mesi. Più che un maestoso Atlante che regge faticosamente il globo, l’immagine che la vicenda ci evoca è semmai quella di un Davide che deve fronteggiare un enorme Golia.
L’effetto di “rassicurazione” provocato dall’esistenza del fondo potrebbe tuttavia avere la capacità di auto-avverarsi. Non possiamo escludere che il fondo riesca a favorire il buon esito di alcuni aumenti di capitale senza dover concretamente intervenire. Inoltre la valorizzazione gonfiata dei crediti deteriorati permetterà di redigere dei bilanci migliori di quello che il mercato ormai andava stimando, e quindi ridurre la stessa necessità di nuovi aumenti di capitale.
Ma è anche chiaro che il problema, a questo punto, si sposta sulla valorizzazione del fondo. Se davvero la riforma del diritto fallimentare sarà realizzata in tempi ragionevoli, il fondo potrà riuscire a recuperare terreno e non registrare perdite, altrimenti sarà stato un modo per comprare tempo riempiendo un buco con la creazione di un altro buco più grande. Già. Perché per ovviare agli evidenti problemi di dimensione, il fondo Atlante lavorerà in leva, ovvero prendendo a sua volta a prestito, e investirà circa il doppio delle proprie risorse. Facciamogli i migliori auguri.
Foto in apertura di Georges Gobet / Afp / Getty Images
Fonte: Pagina99
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