di Riccardo Chiari
Con il marmo qualcuno diventa ricco, in tanti muoiono. Cinque negli ultimi mesi solo sulle Apuane. Ben 29 dal 2010 nell’intero comparto nazionale, segnalano Fillea Cgil & c.. Una strage. Con i nomi di Roberto Ricci, 55 anni, e di Federico Benedetti, 46 anni, che si aggiungono a quelli di Stefano Mallegni, Brunello Maggiani e Nicola Mazzucchelli, ammazzati dal lavoro fra l’estate e l’inverno scorsi nei bacini che sovrastano Carrara e Massa. I corpi di Ricci e Benedetti sono stati recuperati poco dopo l’alba dai Vigili del fuoco – eroi civili sempre in prima linea – che prima avevano messo in sicurezza il bacino di Gioia sul versante di Colonnata (cava Antonioli), dove sono venute giù duemila tonnellate di marmo.
Si piangono i morti, si ferma il lavoro, si decreta una giornata di lutto, si organizza lo sciopero generale del marmo, fissato il 28 aprile. Ma l’ennesimo, duplice omicidio bianco porta Aldo Giubilaro, magistrato di lungo corso e attuale procuratore capo, a parlare fuori dai denti: “Non mi sento di dire che ci siano condizioni di sicurezza accettabili nelle cave di Massa Carrara – fa sapere il magistrato – chi ha l’obbligo di mettere in atto le normative antinfortunistiche e rispettare le regole per la sicurezza dei lavoratori non lo fa; e chi dovrebbe controllare non è nelle condizioni per farlo”.
L’atto di accusa, della pubblica accusa, prosegue: “È impossibile che nessuno si accorga che i bacini apuani sono unici – avverte Giubilaro – più ampi, più complessi, con un tipo di attività più intensa e più pericolosa rispetto ad altre cave: abbiamo bisogno di potenziare i controlli, magari creando un organismo, tra procura, forestale, Vigili del fuoco e Asl, che si occupi esclusivamente del mondo cave. Perché non si può morire di lavoro”.
Invece si muore. O ci si fa male: negli ultimi dieci anni, solo nelle cave delle Apuane, ci sono stati nove morti e ben 1.258 infortuni, praticamente un incidente ogni due giorni. Alla Fillea, come alla Filca Cisl e alle Feneal Uil, tengono i conti di tutto il comparto. E le conclusioni sono disarmanti: “L’incidente di Carrara non è un caso, ma un altro inaccettabile episodio di una mattanza che è ripresa, in un settore che è fra i pochi a segnare indici di crescita”.
Dal sindacato una proposta: “Al di là e oltre le responsabilità penali, questa situazione chiama in causa la responsabilità civile e politica di quanti, imprese o istituzioni che siano, hanno il dovere di garantire la sicurezza. Le concessioni estrattive vanno rapportate al rispetto effettivo delle condizioni di sicurezza e, dove non riscontrate, vanno sospese”. Mentre Dalida Angelini, che guida la Cgil Toscana, segnala: “Avevamo chiesto un tavolo permanente per trovare strumenti di controllo e prevenzione, oggi siamo a riproporlo alle istituzioni”.
E’ l’effetto diretto della lista nera della Toscana – 109 omicidi bianchi nel 2015, 33 in più rispetto al 2014 – ed è una risposta anche ad un addolorato Enrico Rossi: “Ora dobbiamo fare un punto vero, per capire cosa dobbiamo ancora fare e per farlo”. Ma non sarà facile. Perché al di là dell’alto coefficiente di “rischio fisiologico” nelle cave, Roberto Venturini della Fillea locale puntualizza: “Il settore del marmo è in salute, le aziende stanno aumentando il fatturato: cosa volete che interessi una multa da 10-20mila euro, se guadagnano milioni?”. A riprova, nei Panama Papers c’è anche il nome di Paolo Borghini, imprenditore del settore. E la famiglia Bin Laden, diseredata la pecora nera Osama, con la sua Cpc ha acquistato due anni fa il 50% della Marmi Carrara, che detiene a sua volta il 50% della Società apuana marmi, titolare di un terzo delle cave apuane.
Fonte: il manifesto
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