di Michele Prospero
Cosa sarà il M5S dopo Casaleggio? In quest’Italia senza più Stato, che un governo senza autorevolezza sta portando alla deriva, il M5S è apparso come il detonatore che nel 2013 ha fatto esplodere quel che rimaneva. Cioè poco. La sua sensazionale cavalcata, che da zero l’ha reso il primo partito nella circoscrizione italiana, non ci sarebbe stata senza le scelte sociali e istituzionali che hanno gestito il tramonto del berlusconismo.
In certe fasi di transizione, bastano dettagli tattici per determinare il successo o la catastrofe di una prospettiva. La carriera politica di Fini sarebbe stata destinata al fallimento se il suo gesto di ribellione contro Berlusconi fosse stato discusso tempestivamente in aula?
E le sorti di Bersani sarebbero state lo stesso quelle della “non-vittoria” senza la decisione di non uscire dal berlusconismo con una soluzione politica (il voto) ma con alchimie tecniche? L’opzione tecnica è stato il passaggio storico cruciale, che ha indotto a gestire la crisi non più secondo la polarità destra-sinistra ma con lo schematismo vecchio-nuovo, sistema-piazza.
La campagna elettorale di Bersani è stata certo poco incisiva nel raccogliere ansie e rabbie che riempivano le piazze di Grillo. Ma l’esito del conflitto, più che da un impiego pigro delle risorse della comunicazione politica, è stato determinato dalla sospensione della politica e dall’adozione del programma massimo dei poteri economici europei che imponevano austerità e rigore.
Il M5S ha dato uno sbocco politico ad un disagio sociale sottovalutato dalla sinistra che non aveva percepito i venti di una grande rivolta. Le stesse forze economiche e mediatiche, che avevano suggerito il ricorso al “podestà forestiero” per commissariare la politica, giocarono nel 2013 con due pedine: la prima a favore di Monti e Montezemolo. E la seconda, viste le difficoltà espansive nel mercato elettorale di Scelta civica, puntava sul cavallo nuovo di Casaleggio e Grillo per arrestare l’ascesa dei pericolosi “neosocialdemocratici” di Bersani e Vendola.
Il M5S è stato così un fenomeno al tempo stesso della rivolta sociale (che partiva dal basso e coinvolgeva gli interessi degli esclusi, i risentimenti di chi perdeva terreno) e della rivoluzione passiva studiata dalle classi dominanti per impedire un ricambio di governo. Media e poteri che avevano civettato con il M5S non avevano previsto l’entità straordinaria del suo successo.
E per questo, dopo averlo votato quale utile fattore di disturbo contro la casta, editorialisti del “Corriere della Sera” come Galli della Loggia cominciarono a dipingere a tinte assai fosche il M5S e a tacciare di irresponsabilità Bersani, che cercava di formare un governo di svolta. Un irrituale incarico dimezzato, precluse a Bersani di presentarsi in aula con una proposta di esecutivo per verificare il sostegno. Anche la volontà del M5S di non partecipare a soluzioni interne al sistema, ha spianato la strada al leader inconsistente di Rignano.
E’ curioso che gli stessi che inveivano contro il tentativo di ricostruire a sinistra un partito, l’accusa era quella di novecentismo arcaico, ora sollecitino il M5S a diventare un vero partito. Il problema è che il partito non esiste più in Italia come soggetto della politica. La grande azienda di Berlusconi e la piccola azienda di Casaleggio hanno strutture di comando legate alla proprietà. Non appartiene, in alcun modo, alla tipologia di un partito di rango europeo il Pd, scalato dal comitato d’affari della piccola borghesia toscana con munizioni offerte dai signori del denaro e dei media.
La questione del partito è per ora archiviata. Con esiti catastrofici per il sistema. Il conflitto politico si sta ristrutturando attorno alla contesa tra la volontà di potere del capo di Rignano e la resistenza di ambiti della magistratura che svolgono una funzione generale di lealtà costituzionale in un sistema senza più partiti capaci di fare politica. L’azione penale si carica di aspettative politiche rigenerative.
Con un governo che cementa un blocco di affari e potere, con la mancanza, denunciata dalle rilevazioni internazionali, di libertà, autonomia e indipendenza della stampa, con non-partiti agli ordini di un capo, le indagini delle procure vengono percepite come il solo momento di controllo rispetto a pratiche degenerative. Questa ipertrofia del momento giudiziario è un’anomalia ma è anche un indice di carenza strutturale della politica in un sistema degenerato che trova limiti alla pervasiva privatizzazione del potere solo nel controllo di legalità affidato alle toghe.
Se, malgrado la presenza in parlamento di una radicale forza antisistema, è comunque da un fattore esterno (la crisi economica) e da un tintinnio di manette (il controllo di legalità) che Renzi deve temere per il proprio futuro, ciò indica i limiti del ruolo sinora svolto dal M5S. Coltivare il sogno di una nuova rivolta di piazza che costringa gli abitatori del palazzo ad una precipitosa fuga, è più arduo per una forza che è già nelle istituzioni. E quindi essa ha il compito di preparare una alternativa di governo a Renzi per non essere solo un momento della destrutturazione.
Questo è il tema decisivo in un sistema in cui tutto è saltato. L’invito di Di Maio alla sinistra Pd di unirsi all’opposizione nel voto di sfiducia al governo Total è un fatto rilevante, che con (troppa?) fretta Roberto Speranza ha rubricato come propaganda. In nuce quell’invito contiene la disponibilità a non fare del voto di sfiducia un mero rituale simbolico, ma assumerlo come una prova per avvicinarsi al modello tedesco della sfiducia costruttiva.
Non basta più dire no quando scoppia uno scandalo. Il governo è organicamente un intreccio d’affari e potere da sciogliere con una soluzione politica cui devono provvedere quanti non si rassegnano ad essere subalterni al renzismo in nome della stabilità o puri elementi di destrutturazione in nome del nuovo assoluto.
A Milano il presidente del consiglio ha svelato la reale natura del suo potere. “Quando abbiamo fatto la legge di stabilità, avevamo messo il plafond incentivi per l'acquisto di mobili per le giovani coppie a 10mila euro. Subito mi sono arrivati sms, anche da Snaidero che giustamente ha fatto valere le loro ragioni perché gli emendamenti si fanno anche così. Lo voglio dire con trasparenza. E così abbiamo aumentato il plafond a 16mila euro”. Con queste parole Renzi cerca di anticipare gli sviluppi giudiziari del “traffico di influenza” rendendo normale la pressione delle imprese per definire le leggi. E però ammette che un sms di un industriale decide la destinazione di soldi statali. Il teorico della disintermediazione non è affatto decisore solitario, ascolta solo la voce del padrone.
La vera sfida che ha di fronte il M5S, dinanzi a una tale contaminazione sistemica di politica e imprese, è questa: contribuire già ora, quale principale forza di opposizione, alla ricerca di ampie forze parlamentari per un governo diverso che abolisca l’Italicum e assicuri il ripristino della legalità costituzionale. Dinanzi alle bizzarrie di un presidente del consiglio che, con il miraggio dell’Italicum truffaldino, dice “godo da pazzi in una campagna elettorale”, il dovere delle opposizioni è quello di trovare le soluzioni politiche efficaci per impedire tali insani godimenti al premier degli “Intimissimi”.
Fonte: Pagina Facebook dell'Autore
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