di Francesco Piccinelli
Da un punto di vista teorico, Gianroberto Casaleggio è sempre stato un grande enigma. Le sue idee basate su un futuro distopico dominato dalle macchine sono seducenti e degne di un romanzo di fantascienza ma se doveva essere quello il sole dell’avvenire che il Movimento 5 Stelle immagina per l’Italia e l’Europa, siamo davanti a qualcosa di molto difficile da tradurre in pratica politica in modo convincente. Non solo, la morte di Casaleggio è enigmatica anche perché ha posto, una volta per tutte in Italia, la questione se sia accettabile che un partito possa essere gestito come un’azienda oppure – andando oltre – possa essere gestito DA un’azienda.
Il vuoto che lascia Casaleggio nel movimento sarà difficile da riempire. Non che in Casaleggio e Associati manchi la professionalità per farlo. Quello che manca sono le caratteristiche che hanno reso così iconico il cofondatore del Movimento: la sua scarsa propensione all’arena televisiva, il basso profilo tenuto sui media e – soprattutto – la sua vera e propria aura da guru che gli dava un carisma del tutto insolito, mai visto nella storia repubblicana italiana.
Per quanto, in superficie, il Movimento 5 Stelle abbia molto in comune con il Partito dell’Uomo Qualunque, se non altro nella professione di uno dei fondatori e nel carattere antisistema, il Movimento di Grillo e Casaleggio non affonda la propria ossatura teorica (ideologica?) nell’ostilità al “vento del nord” delle forze costituenti: la premessa teorica del Movimento 5 Stelle è stata, almeno all’inizio, fondamentalmente tecnologica e legata ai mutamenti sociali che la tecnologia prometteva, alla metà dello scorso decennio.
Chi ha vissuto nel variegato mondo della comunicazione digitale, negli ultimi 10 anni, ricorda molto bene quello che si diceva ai tempi del primo V-Day. Il punto, allora – come sottolineato da sociologi come Henry Jenkins, Derrick De Kerckhove e altri – non era tanto nell’individuo e nella sua capacità di interagire con il mondo, ma nella Rete, quella con la “R” maiuscola, quella sicura che la collaborazione tra pari potesse essere un efficace metodo di risoluzione di problemi complessi e di diffusione della conoscenza.
Effettivamente, al tempo era molto difficile pensarla diversamente: scrittori usavano i propri blog come degli efficaci sostituti ai tavolini dei caffè letterari, il dibattito sull’e-democracy sembrava davvero a un punto di svolta e si pensava che il futuro sarebbe stato effettivamente “open-source” e collaborativo. Ora, per quanto siamo arrivati a un punto in cui la tecnologia è diventata estremamente pervasiva, siamo dominati da piattaforme proprietarie (Facebook e Google) che stanno intermediando quello che prima doveva essere disintermediato, ovvero ogni singola interazione svolta su Internet.
Il passaggio verso questa verticalizzazione della comunicazione digitale non era stato previsto da M5S e Casaleggio e Associati che hanno reagito verticalizzandosi e centralizzandosi a loro volta. Ulteriori evidenze empiriche serviranno a dimostrare se la transizione che abbiamo descritto sia figlia del nuovo ecosistema digitale. Tuttavia, se prendiamo per buona questa ipotesi andiamo verso un altro punto che la figura di Casaleggio solleva, ovvero se sia legittimo che un’azienda gestisca personalmente un partito politico.
Perché Casaleggio non è stato un altro Berlusconi
E’ ironico che Silvio Berlusconi sopravviva a Casaleggio. Eppure, in fondo, è stato l’ex Cavaliere a portare in politica uno stile manageriale tipico delle società del terziario avanzato. Non è il caso di scendere nei dettagli e di raccontare in modo preciso il ruolo che hanno avuto le aziende di Berlusconi nel reclutamento del personale politico dei primi anni di Forza Italia: quello che è opportuno rilevare, anche da un punto di vista strettamente comparativo, è che, se con l’ingresso in Parlamento di Forza Italia si è legittimata l’idea che i partiti potessero assomigliare alle aziende private, con l’arrivo del Movimento abbiamo assistito, secondo le informazioni pubblicamente disponibili, a un’azienda che gestisce un partito in prima persona.
L’emergenza di questa prassi politica è evidenziata dalle famose mail firmate staff di Beppe Grillo e da una buona parte della comunicazione politica del Movimento aprendo, dal punto di vista teorico, delle prospettive che interrogano in modo molto preciso quella che è la democrazia rappresentativa nella sua natura. Per esempio, la Costituzione è molto rigorosa su quale sia la costituency di ogni singolo parlamentare individuata nella Nazione nella sua interezza, implicando in modo esplicito che il parlamentare sia libero da ogni vincolo di mandato.
Questa evidente contraddizione tra dettato costituzionale e pratica politica non sarebbe di per sé uno scandalo: è, infatti, chiaro che la libertà del singolo membro del Parlamento è messa in discussione dalla sua appartenenza a un gruppo parlamentare. Tuttavia, il punto è che mentre gli esiti del voto parlamentare dei partiti tradizionali sono abbastanza prevedibili e legati a processi decisionali, tutto sommato, evidenti e legati a fattori ideologici ed elettorali, il fatto che ci sia uno staff aziendale è difficile da trattare, all’interno di un contesto di democrazia rappresentativa.
Non stiamo contestando il principio della black box, ovvero l’idea che ci sia un posto caratterizzato da dinamiche oscure dove le domande della società vengono trattate e trovano una risposta: questa idea fa parte della democrazia rappresentativa, del modo in cui le élite operano e dei rapporti tra partiti: in questo contesto, invece, stiamo parlando di una direzione politica che non proviene dagli organi di un partito ma che viene elaborata, sostanzialmente, nel vuoto di una burocrazia autoreferenziale.
Quello che colpisce della personalità collettiva dello staff è che nessuno è in grado di ricostruire chi abbia deciso cosa e con quali motivazioni. Questo pone l’elettore grillino in una situazione molto difficile: è costretto a fidarsi del fatto che lo staff deciderà in modo sempre razionale e accurato senza poter realizzare nessun meccanismo di accountability. Anzi, quello che sappiamo sembra mettere in evidenza che i meccanismi di accountability (dal singolo militante in su) siano più verso lo staff che verso gli elettori.
Da un punto di vista strettamente teorico, questo meccanismo sfida apertamente tutta la letteratura che negli ultimi due decenni è stata scritta sui partiti in Europa. In un certo senso, sfida le leggi di gravità perché oltre all’alto prezzo in termini di fiducia che chiede all’elettore, ricolloca completamente la dialettica interna che c’è in tutti i partiti non fornendo una prospettiva teorica politica, in senso lato, ma legandola, almeno nella comunicazione, a un principio di coerenza interna del sistema, quasi come se la politica tradizionale non avesse più un senso ma dovesse servire solo come un regolatore che definisce standard ambientali e spazza via la corruzione con uno schiocco di dita.
Casaleggio, il primo politico post storico?
Ovviamente, la storia non è finita. Tuttavia “The end of History and The Last Man” funziona molto bene per indagare, almeno da un punto di vista teorico, l’evoluzione della politica e della sinistra europea. In pratica, seguendo la linea di ragionamento di Francis Fukuyama, sembra che non ci sia bisogno, in uno stato medio, dell’Europa occidentale, di una qualsiasi declinazione del socialismo. Non solo: la dialettica tra socialismo e capitalismo – semplificando brutalmente – è stata vinta proprio dal capitalismo. Di conseguenza, la “politica” come la intendeva Pietro Ingrao, tanto per fare un esempio, è obsoleta. Quindi, cosa rimane?
All’apparenza molto poco. Non è un caso, infatti, che l’Unione Europea sia stata costruita come un’unione politica senza la politica, il cui esecutivo, la Commissione (definita proprio da Fukuyama come “la più post storica delle istituzioni contemporanee”) ha molto poco del governo e molto dell’agenzia regolatrice indipendente, pur avendo il monopolio dell’iniziativa legislativa nell’Unione.
Certo, il parallelismo tra istituzioni europee e Casaleggio e Associati è molto difficile da sostenere. Tuttavia, la prassi politica del Movimento è figlia dello stesso clima culturale che legittima la funzione regolatrice della Commissione europea: se è vero che tutti i partiti europei sviluppano misure di policy simili e hanno una distanza ideologica molto ridotta, secondo quanto riportano alcuni studi sui programmi elettorali, non c’è bisogno – secondo la prassi politica dell’M5S – di ricorrere a grandi narrazioni ideologiche come la letteratura marxista o quella liberale. Infatti, la politica viene ridotta a un ruolo di policy completamente libera da partiti e da ideologie.
E’ in questo senso che va letto il rifiuto da parte del Movimento delle etichette tradizionali di “partito”, di “deputato” e così via. La visione che sottintende la pratica politica dell’M5S è infatti legata al fatto che rappresenta i cittadini nel suo complesso, a prescindere dal fatto che non sia (ancora) il partito di maggioranza. Non è un caso che, una volta entrati in Parlamento, deputati e senatori pentastellati abbiano cercato di distribuirsi lungo tutto l’arco parlamentare non accontentandosi di uno spicchio dell’emiciclo, come fanno gli altri partiti.
Certo, chi crede che la democrazia debba essere plurale e ideologica e chi pensa che i partiti si organizzino intorno alle fratture interne alla società vede la propria visione sfidata apertamente dalla pratica politica a 5 Stelle che, in questo senso, è davvero un unicum a livello europeo. Se questo basti a definire Casaleggio come il primo politico post storico è argomento di discussione. Tuttavia, il fatto che più di un italiano su quattro consideri la sua prospettiva credibile è un punto sul quale dovremmo tutti riflettere.
Che eredità lascia Casaleggio alla politica italiana?
Nonostante quanto detto finora, il fatto stesso che Casaleggio lasci un’eredità politica è argomento di discussione abbastanza aperto. Che eredità politica può lasciare il leader di un partito che, nonostante toni altisonanti e visioni sul futuro decisamente radicali, ha sviluppato un programma così poco ambizioso? Sarebbe fin troppo facile citare il monologo conclusivo di “Blade Runner” e liquidare come “lacrime nella pioggia” il lascito intellettuale e politico di Casaleggio che merita, però, di essere comunque discusso.
Di sicuro, l’eredità che lascia Casaleggio nella comunicazione politica italiana consiste nel fatto che adesso si possono immaginare battaglie politiche e campagne elettorali basate su Internet e che fanno della loro presenza su Internet (in quanto tale) uno dei motivi della propria notiziabilità dando all’ecosistema digitale una centralità che prima del 2007 non gli era stata riconosciuta fino in fondo.
Il fatto, però, che la comunicazione dei vari media della galassia grillina faccia ricorso a bufale, pratiche di click-baiting e posizioni spregiudicate è un’altra eredità con la quale dovremmo convivere ancora a lungo, nei prossimi anni e che ha fatto scuola, soprattutto nel campo della destra dove Salvini, per quanto con un linguaggio diverso e molto personale, ha fatto dell’uso estensivo dei social un marchio di fabbrica, ma c’è dell’altro.
In fondo, il Movimento 5 Stelle si è installato su un movimentismo esterno ai partiti che già esisteva. Al di là di come la si pensi, la battaglia contro gli inceneritori in Italia, per esempio, è partita alla metà degli anni ’90 e non è stata mai recepita dalla politica mainstream. La saldatura tra vari movimenti di singola istanza realizzata dal Movimento 5 Stelle, per quanto contradditoria e problematica però, ha indicato una strada da seguire per chiunque voglia sfidare i partiti tradizionali in modo credibile, almeno dal punto di vista elettorale.
Tuttavia, si tratta di ipotesi che andranno verificate almeno a partire dalle prossime elezioni amministrative. Ad oggi, non è ancora chiaro che eredità lasci Casaleggio. Il Movimento 5 Stelle ha ora la possibilità di diventare adulto e di produrre una cultura politica autonoma. Forse, più che da persone, il vuoto di Casaleggio andrà coperto con una nuova elaborazione intellettuale. Visto anche il personale politico che il Movimento impiega a tutti i livelli è davvero possibile una prospettiva del genere?
Fonte: Pandora Rivista di teoria e politica
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