di Carlotta Pedrazzini
Molti obiettivi posti dall'Unione Europea non sono stati raggiunti. C'è chi parla di un temporaneo allontanamento dai principi fondamentali di solidarietà e cooperazione. Ma nel progetto europeo, queste idee sono mai state presenti? L'invocazione di un esercito comune a difesa dei confini, un accresciuto sentire bellicista, i discorsi martellanti sulla sicurezza, la questione migratoria, l'acuirsi di sentimenti nazionalisti. E poi la crisi economica e sociale, i dissidi tra paesi membri, Grexit, Brexit, l'euroscetticismo, gli attacchi ai sistemi di welfare, l'ipotesi di una chiusura delle frontiere interne.Gli elementi appena citati sono stati riconosciuti come sintomi di un malessere generale dell'Unione Europea, derive intraprese che allontanano sempre più i paesi membri dall'originario progetto di unione siglato qualche anno fa.
Un progetto che fa ufficialmente riferimento agli ideali presenti nel Manifesto di Ventotene, redatto dagli antifascisti Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Coloni e Ursula Hirschman durante l'esilio politico sull'isola-carcere del Tirreno, da cui il documento prende il nome.
Un progetto che fa ufficialmente riferimento agli ideali presenti nel Manifesto di Ventotene, redatto dagli antifascisti Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Coloni e Ursula Hirschman durante l'esilio politico sull'isola-carcere del Tirreno, da cui il documento prende il nome.
L'Europa da loro immaginata era contraddistinta da uguaglianza, pace, solidarietà e condivisione; ma l'Europa che ha preso vita dopo accordi e trattati internazionali sembra essere qualcosa di diverso.
Attualmente le cose non vanno molto bene per l'Unione Europea. Sono i dati a dirci che alcuni tra gli obiettivi prefissati non sono stati raggiunti. Dai discorsi di alcuni leader europei emerge che i fallimenti politici e socio-economici sarebbero da imputare ad un allontanamento dai principi fondanti, ispirati al Manifesto di Ventotene. E se invece si stesse progressivamente svelando la vera natura capitalistico-finanziaria del progetto europeo, che niente ha a che vedere con quei principi a cui i burocrati europei fanno sempre riferimento?
I fallimenti in pillole
Nel Trattato che adotta la costituzione europea (redatto nel 2003 e mai ratificato) troviamo l'elenco degli obiettivi che dovrebbero conferire un senso alle azioni dell'Unione Europea (elenco poi confluito all'interno del Trattato di Lisbona) e che sarebbero la cartina al tornasole di tutte le azioni intraprese dagli stati organizzatisi in Unione. In questo elenco troviamo, tra gli altri, l'eliminazione della povertà, la tutela dei diritti umani, la pace, la solidarietà e il rispetto tra i popoli.
Ora proviamo a passarne velocemente alcuni in rassegna. Per quanto riguarda l'eradicazione della povertà, le statistiche riportano un triste fallimento. Secondo l'ultimo rapporto Eurostat, un europeo su quattro sarebbe a rischio povertà ed esclusione sociale. Si tratta di 122 milioni di cittadini, il 24,4% della popolazione degli stati membri dell'UE.
Proprio a causa di una situazione socio-economica molto critica, l'Unione Europea ha varato nel 2010 un piano decennale (Europa 2020) volto a incrementare crescita e occupazione, con il fine di diminuire di almeno 20 milioni il numero degli europei che rischiano una vita di ristrettezza materiale, limitatezza di risorse e di emarginazione sociale. I dati del 2015, anno intermedio, non hanno però riscontrato grandi miglioramenti. E lo scetticismo sulla possibilità di raggiungere l'obiettivo ha iniziato a farsi sentire.
Cosa dire invece sulla tutela dei diritti umani, altro grande obiettivo fondante dell'Unione Europea? Per capire se davvero la salvaguardia dei diritti e della dignità sia una priorità per i paesi membri dell'UE, possiamo dare uno sguardo alla recente emergenza migratoria.
Le posizioni adottate e le misure intraprese per far fronte alla disperata situazione di rifugiati e migranti non sono esattamente in linea con l'attestazione della tutela dei diritti umani. L'intera questione è stata affrontata perlopiù in termini numerici; si parla di quote di migranti da accogliere (con relativi litigi tra stati), influenze sul PIL o sul tasso di natalità, si dibatte sul denaro da corrispondere alla Turchia per togliere all'Europa l'onere della gestione della peggior crisi migratoria dalla seconda guerra mondiale.
Così mentre nei palazzi si discuteva di numeri, in mare morivano (e continuano a morire) decine di migliaia di persone a causa dell'assenza di un corridoio umanitario; si erigevano muri, si poneva il filo spinato, si utilizzava la forza per impedire l'attraversamento dei confini.
Nelle scorse settimane l'Europol (Ufficio di polizia europeo) ha dichiarato che sono 10mila i migranti minorenni non accompagnati di cui si sono perse le tracce sul suolo europeo. Sul confine greco-macedone, la situazione è sempre più critica e in zone di frontiera come Calais e Ventimiglia si sono recentemente verificati sgomberi degli accampamenti di migranti da parte delle forze di polizia. Anche in questo caso sono i fatti, più dei discorsi, a darci l'idea della cifra dell'impegno per la tutela dei diritti umani.
In quello che sembra un coacervo di traguardi mancati, c'è un obiettivo di cui l'UE fa grande sfoggio e che gli è valso anche l'assegnazione di un premio Nobel: quello della pace interna. Ultimamente, però, anche sul fronte dei rapporti pacifici, della solidarietà e del rispetto tra i popoli, qualcosa sta iniziando a scricchiolare.
Eppure il nazionalismo...
Nonostante i 60 anni di assenza di conflitti, nell'ultimo periodo i rapporti tra gli stati membri hanno iniziato a farsi sempre più tesi. Diversi interessi economici, diversi interessi internazionali, ma anche malcontento per il modo in cui la crisi economica è stata gestita e scontri sulla questione dell'emergenza migranti; fattori che si sono sommati ad una vecchia insoddisfazione per il grado di democraticità dei meccanismi interni all'EU. Sono aumentate tra i paesi membri le spinte euroscettiche e centrifughe; il nazionalismo, poi, è montante e le destre hanno registrato una crescita generale.
Questo ritorno di fiamma del nazionalismo potrebbe sembrare anacronistico, vista la lunga esperienza di unione tra paesi. Eppure, a pensarci bene, il fenomeno non sembra così strano. Non si è creato un sentire comune durante i lunghi processi di formazione dell'UE, così i paesi membri si sono trovati ad avere al loro interno sentimenti nazionalisti mai depotenziati. La creazione di un mercato unico per dare spazio ad un neoliberismo senza freni è stata preferita fin da subito ad una visione internazionalista di comunità, in cui solidarietà e cooperazione tra i popoli fossero elementi fondanti.
Guardando ai trattati e agli accordi che hanno segnato la storia dell'Europa si percepisce il ruolo di primo piano della sfera economico-finanziaria rispetto a quella sociale. È così che la creazione di un'area di libero scambio e la facilità di circolazione delle merci è passata davanti alla libera circolazione delle persone e ad un comune sistema di welfare, per esempio.
C'è chi a fronte degli odierni fallimenti dell'Unione Europea fa appello ad un ritorno alle origini, denunciando un allontanamento del progetto dai principi che hanno portato alla sua fondazione. Ma di quali origini si parla? L'Europa liberale dei burocrati ha mai voluto essere qualcosa di diverso da ciò che è ora? Si è mai voluto implementare un sistema caratterizzato da solidarietà, cooperazione, autonomia, internazionalismo, come proposto dagli antifascisti di Ventotene? O è sempre stata una questione economico-finanziaria tra élite? Perché, in questo caso, avanzare lamentele riguardo agli obiettivi mancati dell'UE sarebbe un esercizio assolutamente inutile; sul fronte dell'emancipazione sociale e della tutela dei diritti non ci saranno cambiamenti.
Fonte: A Rivista anarchica
Originale: http://www.arivista.org/?nr=406&pag=15.htm#1
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