di Carlo Clericetti
Pro e contro il referendum "anti-trivelle" se ne sono sentite di tutti i colori in queste ultime settimane, con dati "aggiustati" dall'una e dall'altra parte e una notevole confusione. Personalmente mi sono fatto l'idea che qualunque sia l'esito non avrà un grande impatto né dal punto di vista economico, né da quello occupazionale, né da quello ambientale. E però i motivi per scegliere una cosa piuttosto che l'altra ci sono, anche se di minore effetto emotivo rispetto a quelli agitati di crollo degli investimenti, drammatiche conseguenze sui posti di lavoro oppure possibili disastri ambientali, tutte esagerazioni che obbediscono ai canoni della propaganda.
Sgombriamo intanto il campo da uno degli argomenti speciosi di cui si è parlato: il referendum sarebbe un braccio di ferro tra Regioni e Stato sulle competenze per la politica energetica. Ma questa è materia costituzionale: la questione della divisione delle competenze era stata affrontata con la riforma del Titolo V (quella "federalista" fatta dal centro-sinistra e assai pasticciata) e verrà modificata se la riforma costituzionale che ha appena concluso l'iter parlamentare verrà convalidata dall'apposito referendum. Questo, di referendum, non sposta nulla in materia.
Un altro aspetto da considerare è invece quello che è scorretta una concessione senza limiti su un bene pubblico, ossia in pratica un regalo ai privati di qualcosa che è della collettività. "Ma il limite c'è - replicherà qualcuno - ed è l'esaurimento dei pozzi". Sì, ma si tratta di un limite indefinito, perché il concessionario può cercare altri pozzi; il ministero potrebbe teoricamente mettere fine alla ricerca dopo due anni, ma visto l'orientamento del governo è assai poco probabile che eserciti questo potere. Inoltre, se non ci sono limiti di tempo, il concessionario può estrarre quantità che restino costantemente al di sotto della franchigia oltre la quale scattano le royalties (prime 20mila tonnellate di petrolio estratte in terraferma e prime 50mila estratte in mare, primi 25milioni di metri cubi standard (Smc) di gas estratti in terra e primi 80milioni estratti in mare). C'è che afferma che un'attività ridotta sarebbe antieconomica per le imprese: sta di fatto che delle 26 concessioni oggetto del referendum attive nel 2015, solo 5 di gas e 4 di petrolio hanno superato quelle quantità e quindi pagato le royalties, le altre sono rimaste nell'area della franchigia.
Il rinnovo automatico delle concessioni è criticato, anche se con un motivo diverso, anche da un economista liberista come Luigi Zingales: ha votato sì (per posta, in quanto residente all'estero) all’abrogazione "perché la norma attuale estende all’infinito la durata delle concessioni". Se invece ci fosse una scadenza, " lo Stato italiano potrebbe impegnarsi per ottenere qualcosa in più da chi sfrutta le risorse pubbliche. Senza regali".
Infine c'è un altro motivo importante per votare "sì". Forse queste specifiche trivelle non faranno troppi danni all'ambiente (ma bisogna ricordare che il divieto di nuove ricerche entro le 12 miglia è diventato effettivo solo per evitare un altro referendum). Ma è necessario un segnale forte che non si può massacrare l'ambiente (e come troppo spesso è accaduto la salute delle persone) in nome dello sviluppo e del "progresso". Sviluppo e progresso sono necessari e auspicabili, ma non a qualsiasi costo. Questo governo, in particolare, con il decreto "Sblocca Italia" - subito ribattezzato "sblocca cemento" - ha dato pessimi segnali, varando norme che permettono di ignorare tutte le precedenti leggi di tutela dell'ambiente, del paesaggio e persino dei beni archeologici e culturali. Non è questo il "progresso" che ci piace e chi dichiara continuamente di avere a cuore il futuro dei giovani dovrebbe preoccuparsi un po' di più di come sarà ridotto il paese in cui si troveranno a vivere. E questa è davvero una cosa che va affermata con chiarezza.
Fonte: La Repubblica - blog Soldi e potere
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.