di Franco Arminio
Prima di pensare alle trivelle, penso alle pale eoliche. Lo sanno gli italiani che alcuni paesi sono letteralmente circondati di pale e che queste pale danno grande profitti alle multinazionali che le hanno impiantate e non hanno creato nessuna ricaduta importante sui territori? Per accendere i riflettori sulle pale bisognerà aspettare qualche scandalo, come se non fosse già scondaloso quello che è accaduto.
Sul petrolio in Lucania recentemente ho sentito in un salotto televisivo un giornalista che se la prendeva coi lucani dicendo che «possono anche restare con le mucche e le galline». Io ho sempre diffidato degli opinionisti, preferisco i percettivi.
Tempo fa sono stato attaccato dai No Triv per aver detto che non è vero che la Lucania è tutta distrutta dalle estrazioni petrolifere. È un’affermazione che confermo, assieme al mio impegno a favore del Sì nel referendum. Chi gira per la Lucania non trova pozzi petroliferi ovunque. E quelli legati allo scandalo della ministra Guidi non sono ancora entrati in funzione. E se non ci fosse stato lo scandalo forse non se ne sarebbe accorto nessuno. La Total li sta realizzando a una quota più adatta a una pista di sci.
Quando sono andato a Tempa Rossa ho visto un cantiere servito da strade bellissime, molto diverse da quelle della viabilità ordinaria. E ho pensato alle poche masserie presenti nella zona. A volte la logica della pubblica utilità stravolge l’esistenza di famiglie e paesi: pensate ai paesi evacuati per far posto a una diga o quelli distrutti da una diga.
La Lucania non può subire, oltre ai danni delle estrazioni petrolifere, anche quelli legati ai ciarlatani dello sdegno, protesi a raccontare una regione in cui un sindaco che cerca lavoro per qualche suo parente fa dimenticare che da quelle parti c’è Matera capitale della cultura 2019 e tanto altro che non sa di miseria né di petrolio.
Il referendum passa, restano i vecchi e i malati di Gorgoglione. La Total non può pensare che basti offrire un pullman per portarli al mare. In quelle zone la vecchiaia fa carriera, negli occhi cerchiati di rosso si può vedere tutta la bancarotta antropologica di un’Italia che ha dimenticato paesi e montagne,pur essendo nazione di paesi e montagne.
Qui dai noi le questioni con un alto tasso di complicazioni tecniche la politica le lascia direttamente alle imprese. Accade così coi rifiuti, accade così con le risorse energetiche. Ad agire è sicuramente la mentalità truffaldina delle classi dirigenti, ma anche la loro scarsa predisposizione al pensiero scientifico. In Parlamento ci sono più seguaci di Croce che di Fermi.
Il referendum di domenica 17 aprile tecnicamente non è destinato a cambiare le sorti della Nazione, ma ha un indubbio valore politico. Il problema è che in questo momento gli italiani non sono interessati alla politica. In Parlamento non ci sono forze effettivamente antagoniste. Il Movimento Cinque Stelle funziona più nelle urne che nella società. I movimenti No Triv non hanno molti militanti, bisogna dirselo. Quella che una volta si chiamava la Sinistra si è inumata sempre più nel suo pessimismo. Gli esponenti della cosidetta minoranza Pd non sono convinti di niente e non convincono nessuno. Quelli che da anni si dedicano alla loro sopravvivenza cercando di tenere in vita una sinistra vera sembrano più cha mai fuori gioco, ora che invece lo spazio per giocare sarebbe enorme. Rimane la Rete. L’esito del referendum è appeso all’attivismo della Rete. Qui sono tutti per il Sì. Il verdetto del Mouse sembra scontato, ma c’è da valutare la credibilità degli impegni presi in Rete. Quando organizzi un evento, su cento persone che annunciano la loro partecipazione poi se ne presentano cinque.
Queste righe sono dettate dal pessimismo della ragione, ma esiste anche l’ottimismo della volontà e va usato per intero, per andare a votare e invitare caldamente altre persone a votare. Potrebbe essere una giornata storica, il giorno nero dei colonizzatori, a dispetto di ogni previsione.
Fonte: il manifesto
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