La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 7 ottobre 2016

AutunNO! I No che aiutano a crescere le lotte

di Checchino Antonini
Referendum costituzionale: noi siamo assolutamente contro questa deformazione della Carta del ’48, perché siamo consapevoli che un governo eletto con l’Italicum (il premio di maggioranza al partito di maggioranza relativa), espressione di una piccola fetta di elettorato, quella legata alla Confindustria e alle banche, avrebbe le mani ancora più libere per imporre leggi in grado di supportare l’attacco delle classi dominanti ai diritti sociali e alle condizioni di vita di lavoratori e lavoratrici.
Lavoreremo perciò perché vinca il No ma senza alcuna nostalgia per i bei tempi andati perché quella Costituzione non solo non è mai stata applicata nelle sue parti più progressive ma perché, a sua volta, rappresenta la cristallizzazione di rapporti di forza precisi e che non esistono più. Mai come ora, la classe lavoratrice è frammentata e disorientata, succube di chi le cuce addosso abiti reazionari e abitudini alla passività. L’omicidio di Abd Elsalam, il facchino egiziano, militante Usb, travolto da un camionista italiano, a Piacenza, mentre picchettava la sede di una multinazionale della distribuzione, è il film tragico dei danni prodotti dalle ripetute sconfitte del movimento operaio. La rincorsa alla flessibilità, la concorrenza verso il basso tra garantiti (sempre meno) e non garantiti, tra autoctoni e stranieri, tra etnie più sindacalizzate e comunità ancora meno consapevoli dei propri diritti: ecco che cosa è andato in scena a Piacenza. E poi l’indifferenza di quella città (ma sarebbe accaduto lo stesso anche altrove) per quell’omicidio, tutti pronti a credere alla favola costruita dalla Procura di un improbabile omicidio stradale. L’ostilità mostrata verso i partecipanti alla manifestazione di protesta: negozi sbarrati, strade deserte, istituzioni che hanno incoraggiato la serrata. La solitudine di un corteo pacifico ma determinato che si è snodato senza che la Cgil, la più grande organizzazione di massa del Paese, abbia messo in atto la minima azione concreta di solidarietà, se non quella generosa della “solita” opposizione interna, l’area de Il sindacato è un’altra cosa.
Scena simile a Napoli dove il corteo che ha accompagnato i cinque licenziati di Pomiglianoal processo d’appello contro Fca, senza vip e senza scontri, non ha avuto nemmeno l’onore di un lancio di agenzia. Ma i cinque hanno vinto, sono stati reintegrati e la loro vittoria è a disposizione di tutti, così come il patrimonio di lotta che hanno saputo esprimere in questi due anni di lotte. La tenda sotto la quale hanno presidiato Piazza Plebiscito è stata donata ai movimenti partenopei e da lì è partito l’appello per comitati operai per il No.
Da Piacenza ci arriva la speranza che il nuovo movimento operaio possa finalmente diventare multietnico e rimettersi in marcia agendo il conflitto di classe, chiamandolo col suo nome, in modi e tempi decisi dal basso, collettivamente, magari con forme di intersindacalità, ibridandosi con le lotte dei movimenti territoriali contro le privatizzazioni, gli sgomberi, per i diritti alla casa, ai beni comuni, al reddito. Ma soprattutto convergendo con le vertenze contrattuali di milioni di lavoratori – metalmeccanici, della funzione pubblica, del commercio – per invertire la tendenza di contratti al ribasso, contratti di restituzione, chiusi dalle burocrazie confederali negli ultimi mesi. C’è spazio, necessità, bisogno di unificare le lotte e di radicalizzarne i contenuti. E’ necessario unificare il dissenso tra i lavoratori e le lavoratrici che finora si esprime in modalità frammentarie, isolate ma che esiste ancora. Perché la ricomposizione di cui abbiamo bisogno non è quella politicista dei piccoli ceti politici, ma quella sociale degli sfruttati, vecchi e nuovi.
Sarà un autunno in cui risulterà evidente l’intreccio tra i rinnovi contrattuali, l’elaborazione dell’ennesima legge di stabilità nel segno dell’austerità e la questione referendaria. In tutte le battaglie c’è il segno della torsione autoritaria determinata dalla crisi il cui carattere costituente è evidente. Allora anche il nostro No dovrà essere sociale e costituente di nuovi rapporti di forza, capace di non entrare nei tecnicismi del dibattito sulla controriforma e di smarcarsi dalla retorica del fin troppo eterogeneo arco costituzionale che raccoglie il voto per il No.
No agli accordi al ribasso, no alla riforma costituzionale, no al governo Renzi dell’austerità. Parafrasando il titolo di un famoso libro potremmo dire che sono questi i “no che aiutano a crescere le lotte”. Una vittoria del No in un clima di lotta sociale renderebbe più difficile l’azione della borghesia e darebbe nuove chances al rilancio delle rivendicazioni dei lavoratori. Riusciranno i movimenti e le forme organizzate ad essere all’altezza della scontro?Noi cominceremo dal No Renzi Day, il 21 e il 22 ottobre.
Di questo si parla nel nuovo numero de L’Anticapitalista mentre i venti di guerra continuano a soffiare dall’Europa e dal Nordamerica sull’Africa e il Medio Oriente senza che resusciti ancora nemmeno lo spettro di quella che credette di essere la “seconda potenza mondiale”. Anzi, la debolezza soggettiva dell’azione internazionalista rischia di resuscitare forme di campismo in versioni grottesche nell’epoca dell’assenza di un reale campo antimperialista.
Ecco perché nel vivo delle scadenze dell’autunno e della battaglia referendaria, Sinistra Anticapitalista è anche impegnata nella costruzione di un nuovo programma, di un’idea della politica, una proposta di società da costruire in sostituzione di quella capitalista. Non si tratta di una pulsione “revisionistica” del tipo di quelle numerose che abbiamo conosciuto in tante formazioni di sinistra pentite del proprio radicalismo. Anzi, il programma che vogliamo mettere a punto, con l’obiettivo di sviluppare un’organizzazione politica di classe, vuole essere, se possibile, ancora più radicalmente anticapitalista e rivoluzionario, aggiornandosi e integrando gli insegnamenti di questi ultimi decenni, che tutti quanti indicano l’irriformabilità politica, sociale e ambientale del capitalismo e la necessità di una società alternativa che vogliamo definire “ecosocialista”.

Fonte: popoffquotidiano.it 

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