di Roberta Carlini
Anche questa volta Matteo Renzi ha portato il discorso sui due terreni a lui più congeniali: la battuta e la sfida. Parlando dei rilievi tecnici e istituzionali sui conti pubblici che sono alla base della prossima manovra economica, ha sbuffato dicendo che si tratta sempre della stessa solfa, un rito autunnale «come le occupazioni studentesche»; per poi rilanciare: «vedremo chi ha ragione». E poiché mediamente gli italiani non hanno una grande dimestichezza con i numeri, ha sperato forse di incontrare il loro favore: ma sì, chi vivrà vedrà. Senonché, in quei numeri ci sono le risorse dello Stato, cioè di tutti noi che paghiamo le tasse, e capire quel che sta succedendo nella guerriglia statistica è semplicissimo. Varrebbe la pena di entrarci dentro.
Il presidente del Consiglio ha ragione quando dice che parliamo solo di qualche decimale di punto: solo che questi decimali, stanti le attuali regole europee, sono importantissimi per capire se la manovra sarà accettata o meno da Bruxelles. Tutto si gioca, insomma, su quei decimali di spesa (o minori tasse) in più che il governo vuole giocarsi per la prossima manovra economica. Però va detto che, contrariamente a quanto affermato da Renzi, non è «la solita solfa sulle coperture», cioè sulle entrate messe a compensazione delle maggiori spese. In discussione c’è invece la previsione sulla crescita del prodotto lordo: quella che ci sarebbe in assenza di interventi, e quella corretta per tener conto della manovra.
Già sul Pil di quest’anno c’è incertezza: il governo aveva previsto una crescita dell’1,2%, poi corretta allo 0,8, in linea con quanto dicono il Fmi e l’Ocse, e un po’ più di quanto prevede la Confindustria (che parla di uno 0,7%). Per l’anno prossimo, poi, la stessa Confindustria vede nerissimo, prevedendo una crescita di appena lo 0,5%, mentre il Fondo monetario punta allo 0,9. Il governo italiano dice che in assenza di interventi la crescita sarebbe allo 0,6%, ma che grazie alla manovra arriveremo all’1%. Sempre secondo il governo, questo sarà possibile per l’effetto espansivo di una serie di interventi: uno scampato pericolo (cioè il blocco dell’aumento dell’Iva), i soldi in più alle pensioni basse, l’intervento sulle tasse sulle imprese attraverso Ires e regime fiscale degli ammortamenti.
È vero, ammette il governo, che facendo queste cose andiamo ad aumentare il deficit, nella misura di mezzo punto di Pil; ma contemporaneamente aumenta anche il Pil, e dunque avendo una variazione analoga del deficit e del Pil, cioè del numeratore e del denominatore, il loro rapporto non aumenta. Per questo la previsione ottimistica del governo - secondo la Banca d’Italia e l’ufficio di bilancio della Camera non suffragata, a tutt’oggi, da sufficienti dettagli sulle misure che la renderanno possibile - non è questione psicologica, ma una condizione necessaria per poter fare nuova spesa in deficit, per un valore di 0,4 punti di Pil. Alla quale va poi ad aggiungersi un altro 0,4% di aumento del disavanzo (7,7 miliardi) per la flessibilità che il governo si aut. o-attribuisce, quella per flussi migratori e post-terremoto.
Nella estenuante contrattazione tra i governi nazionali e la Commissione europea la materia statistica ha la sua importanza. Le modalità tecniche di conteggio di questa o quella posta possono essere cruciali. Pur godendo l’Italia di una scuola statistica di primo livello nel mondo scientifico, non pare che questa abbia avuto un grande peso al momento in cui i “criteri di convergenza” sono stati scritti. Ma adesso, ridurre tutta la pericolante vicenda della politica europea a questione di definizioni e previsioni statistiche è molto pericoloso. Finora, la flessibilità di 18 miliardi di cui l’Italia ha goduto non pare aver prodotto effetti di rilievo, sotto nessuno dei due punti di vista. I vari bonus elargiti hanno avuto, per un po’, un effetto espansivo di tipo politico - sulla popolarità del premier più che sul Pil. E la manovra 2017, incentrata su un nuovo patto con i pensionati, che sono fascia rilevante dell’elettorato ma non la più penalizzata dalla crisi, pare andare nella stessa direzione.
Fonte: Il Tirreno
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