di Marta Fana
L’esplosione dei voucher (i buoni lavoro orari) è ormai impossibile da negare: nei primi sette mesi del 2016 ne sono stati venduti 84 milioni, il 36% in più rispetto allo stesso periodo del 2015 e oltre il 200% in più rispetto al 2014, secondo i dati Inps. Una dinamica coerente con la loro progressiva liberalizzazione: dalla riforma Fornero che ne estese l’uso a tutti i settori fino al Jobs Act che ha aumentato il reddito massimo percepibile in voucher da ciascun lavoratore in un anno, da 5 a 7 mila euro. Il loro numero è così esploso, ma sempre giustificato con l’obiettivo di “far emergere il lavoro nero”.
Ora, una recente pubblicazione del progetto VisitInps a cura di Bruno Anastasia sulla dinamica del lavoro accessorio dal 2008 al 2015 spiega che questo non è mai avvenuto: l’incidenza dei soggetti “emersi” dal lavoro nero grazie ai voucher è irrisoria.
Ora, una recente pubblicazione del progetto VisitInps a cura di Bruno Anastasia sulla dinamica del lavoro accessorio dal 2008 al 2015 spiega che questo non è mai avvenuto: l’incidenza dei soggetti “emersi” dal lavoro nero grazie ai voucher è irrisoria.
Ma soprattutto si assiste a una “regolarizzazione minuscola (parzialissima) in grado di occultare la parte più consistente di attività in nero”. Se n’è accorto anche il governo che ha introdotto l’obbligo per i committenti di segnalare all’Inps l’ora effettiva di inizio della prestazione, ma i controlli non ci sono.
Tra il 2011 e il 2015, la percentuale di voucheristi tra i 25 e i 49 anni passa dal 33% al 54%, mentre si dimezza quella relativa agli over 50 (dal 36 al 18%). Una dinamica opposta a quella dell’occupazione tout court, nettamente positiva solo per gli over50. Sempre più spesso, il voucher appare il mezzo di inserimento nel mercato del lavoro per i più giovani.
Per capire come e in che misura il lavoro accessorio si accompagna o sostituisca ad altre forme contrattuali, la ricerca Inps si concentra sulle transizioni tra lavoro dipendente e accessorio, senza un focus su quelle relative al lavoro parasubordinato, cioè le collaborazioni. Nel 2015 la metà dei prestatori di lavoro accessorio risultava occupata come dipendente pubblico o privato o percettore di assegni di disoccupazione. Tra questi, un terzo dei lavoratori a voucher aveva contratti di lavoro dipendente nella stessa azienda. Per alcuni i voucher fungono da porta d’ingresso per il contratto dipendente a termine (quota prevalente), per altri invece si afferma il processo inverso, da dipendenti a voucheristi. Il 10% di questi voucheristi è composto da occupati che transitano dal lavoro dipendente ai voucher ma non nella stessa azienda. Infine, molti sono i casi, circa il 25%, di soggetti che, pur avendo un lavoro dipendente, svolgono un secondo lavoro retribuito a voucher: sono soprattutto persone con contratti part-time, probabilmente non per scelta loro ma per imposizione del datore di lavoro.
Questo tipo di “lavoro accessorio”, poi, si rivela spesso una trappola: secondo l’Inps, infatti, oltre la metà dei vaucheristi sono “persistenti”, cioè continuano a lavorare a voucher anche negli anni successivi, restando così in una prolungata condizione di super-precarietà. Il tasso di persistenza si fa più marcato per chi ha iniziato dopo il 2012 (circa il 25-30%) e aumenta con il numero dei voucher percepiti. Un guaio per le prospettive previdenziali di questi lavoratori. La metà di loro non riscuote più di 29 voucher all’anno, per un reddito netto pari a 217 euro, dato sostanzialmente stabile dal 2010. Significa che questi lavoratori, data l’aliquota contributiva del 13%, in un anno di lavoro occasionale non riescono a versare neppure un mese di contributi validi ai fini previdenziali (servono 130 voucher annui). Che vi sia un’alta rotazione di forza lavoro retribuita a voucher si evince dal fatto che da un lato i voucheristi aumentano, ma dall’altro il numero di buoni lavoro percepiti da ciascuno è costante negli ultimi quattro anni.
Dal lato delle imprese, infine, si osserva che il 40% dei voucher sono utilizzati nel settore alberghiero e della ristorazione. Ma molti altri comparti mostrano un aumento del ricorso ai buoni lavoro. Tutto da approfondire invece è l’utilizzo dei voucher nelle amministrazioni pubbliche dove il lavoro accessorio sembra iniziare a configurarsi come meccanismo di internalizzazione di servizi dati in gestione ad imprese esterne.
Articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 06/10/2016.
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