di Massimiliano Fiorucci
In questi giorni il “Corriere della Sera” e “stanno proponendo una campagna mediatica impressionante parlando della corruzione nell’Università. Trovo insopportabile che i quotidiani di “regime” parlino dell’Università solo in modo e con toni scandalistici e per gettare fango su di essa, proseguendo in un processo di delegittimazione che ha una lunga storia. Si tratta di armi di distrazione di massa mentre il progetto di distruzione del sistema pubblica dell’Università, della scuola e della ricerca prosegue inesorabile facendo finta di introdurre processi di miglioramento.
Nel corso degli ultimi anni nel dibattito su scuola, formazione, università molti analisti hanno sottolineato la mancanza di un progetto, di una visione, di un disegno che guidasse e orientasse le proposte, le riforme e le scelte effettuate dai governi che si sono succeduti. Tre dimensioni, tuttavia, emergono con chiarezza nelle politiche adottate: la progressiva ma inarrestabile dismissione del sistema pubblico di ricerca e formazione attraverso la sistematica riduzione delle risorse disponibili, la corruzione linguistica che ha orientato i processi in corso attraverso un sistematico ingresso di un linguaggio economicistico e il progressivo aumento di strutture di controllo e non di valutazione (ANVUR, INVALSI, ecc.) che hanno come principale obiettivo quello di ostacolare il normale svolgimento delle attività di una struttura (scuola, ateneo o ente) attraverso il progressivo incremento di procedure finalizzate ad individuare errori e penalizzare anche economicamente i meno virtuosi.
Il sotto finanziamento dell’università
Si tratta di un problema cronico: le fonti sono infinite e inequivocabili e non voglio tediarvi con i dati: “la situazione dell’università è oggettivamente estrema. Lo mostrano i dati di comparazione internazionale, in base ai quali l’investimento pubblico italiano in istruzione superiore è nettamente inferiore, da qualsiasi punto lo si osservi – rispetto a quello di tutti, ma proprio tutti, gli altri paesi avanzati ed emergenti”. Le affermazioni non sono quelle di un estremista ma sono tratte dal serissimo rapporto della Fondazione Res, a cura di Gianfranco Viesti, Università in declino. Un’indagine sugli atenei da Nord a Sud, Donzelli, Roma 2016.
La corruzione linguistica
La scuola e l’Università hanno come loro principali obiettivi quelli di formare cittadini consapevoli, di fornire gli strumenti per acquisire conoscenze e competente e, ci si augura, per far crescere il sapere. In altri termini il ruolo dell’Università dovrebbe aiutare le persone a sviluppare un pensiero critico e autonomo a partire dai saperi già codificati. Al contrario le aziende hanno come loro principale obiettivo il profitto. Detto brutalmente producono cose o servizi (cercando di farlo sempre meglio) per vendere e, in ultima istanza, guadagnare. Si tratta di due visioni, due mondi apparentemente lontani e per alcuni versi inconciliabili e, invece, è venuta avanti una visione aziendalista e produttivista del sapere, basti pensare all’imbarbarimento linguistico che ne è derivato: crediti, debiti, clienti, prodotti, customer satisfaction, stakeolders. Si tratta di una vera rivoluzione che prosegue inesorabile. Non è vero dunque che non vi è una visione dietro questi processi che sono guidati invece dal paradigma del mercato e dell’economia che ha sovrastato qualsiasi progetto di società che mettesse al centro l’uomo e la persona. Si tratta, al contrario, di rivendicare l’utilità dell’inutile per dar senso all’esperienza umana e rilanciare la centralità della libertà, della partecipazione e della democrazia. Si è invece imposto il modello del pensiero unico e omologato, avanza in tutta la sua pericolosità la mitologia della meritocrazia, vengono incentivate la competizione e la concorrenza anche tra studenti a partire dai primi livelli della scuola.
Le strutture di controllo, la produzione normativa compulsiva e il delirio burocratico
L’agenzia di valutazione francese è stata dismessa per “delirio burocratico”. Credo che dovremmo assumere un atteggiamento più critico nei confronti dei sistemi di assicurazione della qualità spesso mutuati dal sistema produttivo e aziendale (TQM, ISO 9000) costruiti per il mondo della produzione e che rischiano di snaturare il senso del nostro lavoro. Ciò a cui dobbiamo mirare è la qualità pedagogica, didattica e relazionale che è fatta soprattutto dalla qualità delle relazioni educative, didattiche e pedagogiche stesse.
La qualità della didattica sta nel fatto che gli studenti sviluppino un sapere e un pensiero critico e autonomo mentre ci troviamo sempre più spesso a compilare le cosiddette SUA (schede uniche annuali) che poi uniche non sono perché ve ne sono per ogni aspetto della vita universitaria (Corsi di Studio, Ricerca Dipartimentale, Dottorati) per assecondare le richieste e i ritmi perversi del sistema AVA (Autovalutazione, Valutazione periodica, Accreditamento), sottraendo tempo prezioso alla ricerca, alla preparazione delle lezioni e agli incontri con gli studenti e, quindi, alla vera qualità del nostro lavoro.
È stata ampiamente dimostrato che anche in campo produttivo e aziendale (e non dovrebbe essere il nostro caso) si possono avere perfetti cicli di qualità vuoti e inconsistenti, facciamo attenzione a non scambiare i processi di miglioramento della qualità con gli obiettivi del nostro lavoro. Impressiona il fatto che il Sistema AVA e il modello del TQM (Total Quality Management) nato in ambito produttivo (il modello toyotista per intenderci) presentino fortissime analogie: non che non si possano e debbano introdurre processi di valutazione e miglioramento nell’Università ma non mutuando acriticamente i modelli produttivi.
Per non parlare della ricerca. Da decenni non si dispone di fondi di ricerca degni di questo nome e per poter svolgere una significativa attività di ricerca si è costretti a partecipare a progetti e bandi europei con la conseguenza che un’altra significativa parte del nostro lavoro deve essere dedicata al fund raising, alla gestione e ala rendicontazione dei progetti con un altro impressionante carico di burocrazia.
E allora parliamo anche del nepotismo e dei parenti nell’Università ma perché i principali quotidiani italiani hanno taciuto e continuano a tacere su tutti questi aspetti?
Consigli di lettura (soprattutto per i giornalisti scandalistici alla Sergio Rizzo che sulla demagogia hanno costruito la loro fortuna) per approfondire:
Federico Bertoni, La cultura in scatola, Laterza, Roma-Bari 2016;
Fondazione Res, a cura di Gianfranco Viesti, Università in declino. Un’indagine sugli atenei da Nord a Sud, Donzelli, Roma 2016.
Fonte: roars.it
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