di Lorenzo Zamponi
Nell'analisi della riforma costituzionale che sarà oggetto del referendum confermativo il prossimo 4 dicembre, si cita spesso il famoso "combinato disposto", cioè l'effetto dell'interazione tra la riforma Renzi-Boschi e la legge elettorale "Italicum". Ciò che raramente si fa notare, però, è quanto profondamente quella legge cambi il rapporto tra esecutivo e legislativo, creando un ibrido tra parlamentarismo e presidenzialismo che non ha eguali al mondo.
Proviamo a metterla giù nella maniera più semplice possibile. Nelle democrazie liberali, tendenzialmente, prevalgono due modelli: uno in cui i cittadini eleggono i detentori del potere legislativo, e l'esecutivo dipende da essi, dando quindi centralità assoluta al parlamento (sistemi parlamentari) e uno in cui sia il potere esecutivo sia quello legislativo sono eletti dal popolo, e quindi il primo acquisisce una centralità maggiore rispetto al modello precedente (sistemi presidenziali).
Entrambi i modelli hanno vizi e virtù e non interessa, ora, stabilire quale funzioni meglio e in quali contesti (esiste un'ampia letteratura). Il punto è che sono diversi e mantengono all'interno una propria coerenza. Nei sistemi parlamentari, infatti, la guida politica del paese è politicamente omogenea: i cittadini votano un parlamento con una certa maggioranza, e il governo, dipendendo dal parlamento, rifletterà questa maggioranza. Il governo è rafforzato dal fatto di avere dalla propria parte un parlamento politicamente omogeneo a sé, e indebolito dal fatto di poter essere revocato da quello stesso parlamento in qualsiasi momento, e ne consegue un determinato equilibrio.
Nei sistemi presidenziali, invece, la guida politica del paese non è per forza politicamente omogenea: essendo esecutivo e legislativo entrambi direttamente eletti, è possibile (e molto frequente) che parti politiche diverse esprimano governo e parlamento. Questa, ad esempio, è l'attuale situazione negli USA: presidente (e quindi esecutivo) democratico, parlamento (e quindi legislativo) a maggioranza repubblicana. In questo caso, il governo è rafforzato dal fatto di avere un mandato popolare diretto e autonomo, e dai conseguenti poteri, e indebolito dal fatto di doversi confrontare con un parlamento a sua volta autonomo e spesso politicamente avverso, e ne consegue un altro determinato equilibrio.
L'Italicum, da questo punto di vista, rappresenta un'eccezione assoluta a questi modelli. Si tratta, infatti, della prima legge elettorale nella storia dell'Europa contemporanea (a memoria di chi scrive) che è costruita per produrre sempre e comunque, automaticamente, a prescindere da qualsiasi altro fattore e dalla volontà popolare, una maggioranza assoluta. Ogni sistema elettorale prevede la possibilità di maggioranze assolute, e alcuni sistemi (quelli normalmente definiti "maggioritari") favoriscono molto il loro verificarsi. Ma nessuno, che si ricordi, aveva mai costruito una legge elettorale che prevedesse come unico possibile risultato una maggioranza assoluta monocolore.
Questa innovazione dell'Italicum comporta una conseguenza chiara: l'esecutivo, in Italia, pur rimanendo formalmente subordinato al parlamento e al voto di fiducia, è di fatto eletto dal popolo, perché, dato che la legge elettorale esclude a priori la necessità di governi di coalizione, i cittadini si trovano di fatto a scegliere direttamente il partito a cui intendono far esprimere, in perfetta solitudine, il governo. Del resto si tratta di una scelta esplicita e rivendicata: molti sostenitori di questa legge, primo fra tutti il presidente del consiglio Renzi, hanno spesso rivendicato che l'obiettivo dell'Italicum è permettere ai cittadini di scegliere direttamente il proprio governo. Il governo deve nascere direttamente dalle elezioni ("la sera delle elezioni si deve sapere chi governerà"), dicono spesso i sostenitori dell'Italicum.
Ma lasciando questo meccanismo come implicito, nel disegno istituzionale, i riformatori hanno evitato di dover separare le due elezioni e di permettere quindi che esecutivo e legislativo siano politicamente eterogenei. L'Italia diventerà quindi un ibrido senza precedenti tra i due modelli: un governo scelto di fatto direttamente dal popolo (sul piano politico se non su quello formale, a sentire gli stessi sostenitori della legge), privo del contraltare di un parlamento indipendente ed eventualmente politicamente diverso, ma, piuttosto, sostenuto da un parlamento assolutamente omogeno a sé.
Dei due possibili sistemi di pesi e contrappesi (elezione diretta del governo ma parlamento potenzialmente eterogeneo o omogeneità dei due poteri ma esecutivo sottoposto al parlamento) non ce ne sarà neanche uno. Avremo l'unico governo al mondo che è di fatto eletto direttamente del popolo e che non risponde a nessuno se non a un parlamento in cui dispone, automaticamente e sistematicamente, di una maggioranza assoluta monocolore. Se si aggiunge il fatto che, grazie al meccanismo dei capilista bloccati, una parte consistente dei parlamentari di quella maggioranza sarà scelta direttamente dal presidente del consiglio, nel suo ruolo di leader di partito, la frittata è fatta. Un presidenzialismo di fatto, senza il contrappeso di un parlamento autonomo ed eventualmente addirittura ostile.
Ora, a chi scrive i meccanismi di pesi e contrappesi della democrazia liberale (e ci sarebbe da aprire il capitolo dell'elezione degli organi di garanzia costituzionale) interessano fino a un certo punto. È difficile difendere con convinzione il ruolo di un parlamento che ha da tempo abdicato, di fatto, alla propria funzione democratica, perché senza partiti in grado di essere rappresentanti degli interessi popolari e non solo responsabili esecutori dell'interesse dominante, un parlamento può essere al massimo liberale ma non certo democratico. La separazione tra rappresentatività e responsabilità denunciata da Peter Mair qualche anno fa ha reso i partiti l'ombra di se stessi, e senza partiti nessun sistema rappresentativo è veramente tale. Per non parlare poi, del fatto che, tra Unione Europea e globalizzazione, è la stessa centralità del potere politico statale a essere messa in discussione.
Stupisce, però, che non ci sia un dibattito di alcun tipo su questo nel paese. Ed è impossibile non vedere che questa scelta è coerente con quasi 30 anni di distorsione governista dei nostri meccanismi istituzionali e con una cultura dominante che vuole le istituzioni rappresentative svuotate da ogni ruolo di, appunto, rappresentanza, e trasformate invece in esecutori, più rapidi ed efficienti possibile, di decisioni prese altrove, nel totale disinteresse per la volontà dei cittadini. Come già abbiamo avuto modo di denunciare, è questa la ratio delle riforme renziane: rendere più rapida e priva del fastidioso attrito del dibattito pubblico l'approvazione dei dispositivi di ristrutturazione economica decisi dall'élite. Un esecutivo senza contrappesi è senz'altro utile, da questo punto di vista.
Certo, il 4 dicembre non si vota, tecnicamente, per l'Italicum. Ma il governo e il parlamento hanno deciso di legare le due riforme in maniera indissolubile, quando hanno scelto di scrivere la legge elettorale solo per la Camera, riconoscendo implicitamente la riforma del Senato nel testo dell'Italicum, e la logica alla base dei due provvedimenti è sempre la stessa. Le promesse di modificare la legge, del resto, si stanno dimostrando un bluff, e in ogni caso non toccherebbero il nodo centrale qui analizzato, cioè il premio di maggioranza che stablisce un'implicita elezione diretta del governo.
L'unico modo per affossare l'Italicum è che non passi il referendum. Un motivo in più, se non fossero sufficienti gli altri, per votare NO.
Fonte: Il Corsaro
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