di Luca Aterini
«Per me le parole chiave sono lavoro, sud e giovani». Sono le tre (indiscutibili) priorità scelte dal neo-presidente del Consiglio Paolo Gentiloni per la conferenza stampa di fine anno tenutasi ieri alla Camera: per quanti non fossero ancora chiare è l’edizione 2016 dell’Annuario statistico italiano a ricordare che «sommando ai disoccupati le forze di lavoro potenziali, ammontano a 6,5 milioni le persone che vorrebbero lavorare», oltre il 10% di tutti gli italiani – dagli infanti ai vegliardi. Sono già 4,6 milioni gli italiani poveri, mentre in 17,5 milioni (il 28,7% dei residenti) rischiano di diventarlo. Molti di loro sono giovani e donne, moltissimi al sud.
L’approccio del premier è propositivo, ma scoraggia notare che a rimanere fuori dal podio disegnato dall’ex-ambientalista militante – che appena due settimane fa sempre alla Camera aveva individuato nella green economy «la frontiera su cui rilanciare la nostra economia» – proprio la parola “ambiente”, che pure incrocerebbe in modo determinante le altre tre (indiscutibili) priorità per il Paese. A rimarcare l’importanza oggettiva che l’economia verde riveste già oggi in Italia è oggi il presidente della commissione Ambiente della Camera, Ermete Realacci: «Nel 2016, come emerge dal rapporto GreenItaly di Fondazione Symbola e Unioncamere, la green economy produce 249 mila nuovi posti di lavoro tra assunzioni programmate di green jobs e di figure con competenze green, pari al 44,5% della domanda di lavoratori non stagionali, quota che sale fino al 66% nel settore ricerca e sviluppo. Un numero che si aggiunge ai 3 milioni di green jobs italiani. Il cui contributo al prodotto lordo del Paese viene stimato per il 2015 a 190,5 miliardi di euro, pari al 13% del totale complessivo».
L’economia verde corre dunque da sola. Quella della sostenibilità è una priorità o no per il governo? Sarà la qualità delle politiche portate concretamente avanti nei prossimi mesi a rispondere per l’esecutivo. Ma dato che con la fine dell’anno arriva per tutti il momento dei bilanci, è utile osservare cosa ne pensa, oltre al premier, anche il resto degli italiani. Al proposito è ancora il nuovo Annuario statistico italiano dell’Istat a offrire un utile compendio.
L’Istituto nazionale di statistica distingue tra portata locale e globale. «Nel 2016, i problemi maggiormente sentiti dalle famiglie con riguardo alla zona in cui vivono sono: l’inquinamento (38%), il traffico (37,9%) la difficoltà di parcheggio (37,2%)». Problematiche che effettivamente non vengono adeguatamente affrontate nel nostro Paese, come da ultimo testimonia il rapporto sulla mobilità urbana diffuso da Legambiente: basti pensare che in tutta Italia sono ad oggi presenti appena 235,9 km di metropolitana, meno di quelli presenti nella sola città di Madrid (291,5 km) per non parlare di Londra (464 km). Per quanto riguarda invece «i problemi ambientali globali», a preoccupare maggiormente la popolazione italiana sono (dati 2015) l’inquinamento dell’aria (48,2%), i cambiamenti climatici (44,2%) e la produzione e lo smaltimento dei rifiuti (43,4%)».
Per comprendere meglio questi dati, l’Istat offre anche un confronto con le opinioni raccolte negli anni passati. Si scopre così che, dal 2012 a oggi negli italiani sono aumentate soprattutto le preoccupazioni legate ai problemi ambientali locali, mentre sono diminuite quelle per i problemi ambientali globali. Così, negli ultimi tre anni secondo l’Istat sono calati gli italiani preoccupati per i cambiamenti climatici come per la produzione e gestione dei rifiuti, per l’inquinamento dell’aria come per il dissesto idrogeologico o la rovina del paesaggio. Come se non bastasse, emergono anche preoccupanti incongruenze tra le opinioni raccolte: se il 43,4% degli italiani si dice preoccupato per la produzione e lo smaltimento dei rifiuti, appena il 19,6% lo è anche per l’esaurimento delle risorse naturali – che sta a monte della produzione di qualsiasi rifiuto e il cui efficiente contrasto è alla base di qualsiasi sensata politica che voglia favorire lo sviluppo dell’economia circolare.
Gli italiani possono dunque dirsi complessivamente meno preoccupati rispetto al passato riguardo alle problematiche dell’ambiente globalmente inteso, anche se in realtà i problemi rimangono ben lungi dall’essere risolti. Basti pensare al cambiamento climatico: come ricorda l’Istat, il 2015 «è stato un anno ancora più caldo del 2014, che già aveva registrato valori di temperatura record rispetto agli ultimi cinquant’anni», e il 2016 è a sua volta avviato a battere il record.
Nel mentre (forse non a caso) le emissioni di gas serra in Italia sono tornate a crescere, e se gli interventi a contrasto portati avanti dalle istituzioni scarseggiano parte della responsabilità non può che ricadere anche sull’elettorato, ovvero tutti noi. Com’è possibile invertire la rotta? «La diffusione delle preoccupazioni ambientali – spiega l’Istat – è correlata alla maggiore o minore presenza fisica sul territorio delle determinanti del rischio ambientale, o quanto meno di quei fattori che vengono percepiti come pericolosi e dannosi per la salute da parte della popolazione ivi residente». Spiegare che il mondo è tutto attaccato, e che non è possibile perseguire la sostenibilità soltanto all’interno del proprio piccolissimo giardino, è una necessità che sottolinea il cruciale quanto trascurato ruolo della comunicazione ambientale in Italia. Richiamando al contempo a maggiore responsabilità proprio chi della comunicazione ha fatto la propria professione. Chissà che il 2017 non ce la mandi buona.
Fonte: Green Report
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