di Loris Caruso
Negli ultimi due anni, Podemos è diventato un modello di riferimento per chi si propone di costruire una sinistra popolare e adeguata al presente. In Europa questo partito è già il simbolo di diverse cose: di una sinistra iconoclasta verso i propri modelli classici di azione; del cosiddetto populismo di sinistra, che sostituisce la frattura gente comune/èlite a quella tra destra e sinistra, e prova a diventare maggioritaria «facendosi popolo» più che costituendosi come parte politica; di una forma efficacemente post-moderna di partito progressista, molto legata alla continua traduzione della propria proposta politica in messaggio comunicativo; di un modello di partito-movimento in cui la forma-partito si integra con quella dei movimenti sociali.
TUTTO QUESTO È IN DISCUSSIONE. IL PARTITO È IN UNA FASE decisiva di confronto (e conflitto) interno che porterà, a febbraio, al suo secondo congresso. C’è un Podemos del biennio 2014-2016 e ci sarà un Podemos nato dal congresso del 2017, e saranno due partiti diversi.
Il dibattito interno ha a che fare con questioni di ordine generale: nel medio termine, mentre la crisi politica si acutizza e quella economica può radicalizzarsi, questo modello di partito è attrezzato per andare oltre una fase di blitz elettorale? È adatto a sostenere i cambiamenti strutturali che propone? Il tema di fondo è quello della costruzione di un partito di massa nel XXI secolo.
FINO AL 2016 PODEMOS È CRESCIUTO ATTORNO A OBIETTIVI esclusivamente elettorali: ne è emerso un partito incentrato sulla comunicazione, a sua volta incentrata sul leader; una certa vaghezza del messaggio; una struttura gerarchica e accentrata (che fa, però, votare alla base tutte le scelte strategiche); una distanza significativa dalla mobilitazione sociale. In due anni ha comunque raggiunto due risultati eccezionali: il 20% dei voti e la reintroduzione, nel perimetro della politica, dei problemi e degli interessi delle classi popolari.
Il passaggio che Podemos ha di fronte è il modo in cui evolvere da partito elettorale a movimento politico stabile e possibilmente egemonico nella politica e nella società spagnola. Su un punto concordano tutte le componenti del partito: il modello elettorale-verticistico arrivato fin qui dev’essere superato. Ma sul modo in cui farlo si stanno confrontando duramente due strategie diverse, legate all’area che fa riferimento a Iglesias e a quella che fa riferimento a Errejon, «numero 2» del partito. Queste due aree sono quasi due partiti nel partito, con due organizzazioni giovanili, due campagne di mobilitazione sociale, due universi di parole d’ordine e due stili comunicativi.
PER L’AREA DI IGLESIAS, IL PASSAGGIO DA PARTITO ELETTORALE a «movimento popolare» stabile e radicato si deve realizzare attraverso un’immersione nella società. Meno televisione, meno social media, meno centralità del populismo comunicativo e più mobilitazione collettiva. «Scavare trincee nella società», dice Iglesias: essere presenti in ogni quartiere, in ogni importante luogo di socializzazione e organizzare o sostenere il conflitto delle classi popolari contro le èlite. Il compito fondamentale di Podemos è la lotta alla povertà e alla diseguaglianza. L’area di Iglesias ha quindi lanciato “Vamos!”, una campagna di mobilitazione che ha scelto come primo terreno d’intervento la lotta alla povertà energetica (contro i tagli a luce, gas e riscaldamento a chi non riesce a pagare le bollette). Il linguaggio e i riferimenti diventano più nitidamente di sinistra. Iglesias ha un rapporto molto solido con Garzòn di Izquierda Unida, e all’interno del partito si è avvicinato all’area anticapitalista.
QUESTO NON SIGNIFICA RINUNCIARE A ESSERE MAGGIORITARI e trasversali. Iglesias non pensa di abbandonare totalmente la strada intrapresa finora, per quanto riguarda la centralità assegnata alla comunicazione e il ricorso a un certo populismo comunicativo (il popolo contro l’élite; la difesa della patria). Ma trasversalità ed egemonia si possono ottenere, per quest’area, soprattutto «politicizzando il dolore sociale». Per Iglesias il populismo virtuoso è soprattutto costruzione di frontiere antagonistiche dentro la società. I voti che mancano vanno cercati tra i ceti medio-bassi, gli astensionisti e i disgustati dalla politica tradizionale. Per questo, lo stile del partito deve restare il più possibile quello degli outsider, rendendo costantemente evidente la propria originalità ed evitando un’eccessiva identificazione con le istituzioni.
PER ERREJON E LA SUA AREA, TUTTO QUESTO È SOLO «RESISTENZA». È tornare a chiudersi nell’angolo marginale della sinistra radicale e rinunciare a diventare maggioranza e governo. Il Podemos che vince si costruisce soprattutto nelle istituzioni, ottenendo risultati tangibili in Parlamento e rendendo le giunte locali in cui si governa un modello di affidabilità ed efficacia. La mobilitazione sociale da costruire, per Errejon, è solo quella che difende i risultati di queste giunte: una forma di mobilitazione dall’alto.
Il rapporto tra partito e società delineato da quest’area non si basa sul conflitto, ma si concretizza nella campagna “Hacemos!”, diretta dall’area degli errejonisti: in questa campagna, parte degli stipendi delle cariche istituzionali di Podemos finanzia progetti sociali di cooperative, associazioni e circoli locali del partito. La presenza del partito nella società non deve quindi essere quella della costruzione conflittuale di soggettività popolari, ma quello della micro-costruzione diffusa di relazioni sociali virtuose. La “nuova società” dev’essere visibile nel modo in cui Podemos sostiene la cooperazione sociale e organizza il tempo libero delle persone nei quartieri (gite, feste, concerti, ecc.), non nella protesta.
I voti che mancano, secondo questa analisi, sono soprattutto quelli degli elettori socialisti delusi. Il partito dev’essere quindi più rassicurante che radicale. Per essere maggioritari e trasversali bisogna rivolgersi innanzitutto alle classi medie, e avere obiettivi che riguardino più il Paese e la Patria nel loro complesso che specifiche classi sociali.
PER ERREJON IL POPULISMO VIRTUOSO È LA COSTRUZIONE di un popolo attraverso significati e simboli condivisi da una maggioranza sociale trasversale. L’egemonia e il popolo non si costruiscono più «sociologicamente», come espressione di interessi materiali specifici, ma simbolicamente, mobilitando emozioni e significati collettivi. Il conflitto sociale è considerato non essenziale, se non controproducente. Bisogna essere diversi dalla politica e dalla società esistenti, ma nello stesso tempo pienamente parte di essi.
La relazione con il conflitto sociale – insieme al rapporto con la sinistra tradizionale – si configura quindi come il vero punto di divergenza tra le due aree. Già da questa sintetica descrizione, è però evidente come Podemos abbia bisogno di entrambe queste idee di partito, e che l’integrazione tra le due può delineare una nuova forma di partito di massa.
Fonte: il manifesto
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