di Tonino Perna
La piana di Gioia Tauro – Rosarno è conosciuta a livello internazionale per essere una delle basi di una criminalità organizzata tra le più potenti del mondo: la ‘ndrangheta. Negli ultimi tempi, ed esattamente dal 10 Gennaio 2010, i mass media hanno riacceso le luci con la rivolta dei braccianti africani stanchi di minacce e attentati nei loro confronti, oltre che di una condizione di vita e lavoro insopportabili. La popolazione locale, che è stata accusata di razzismo, è composta in gran parte dai figli e nipoti di quei braccianti e contadini che nel 1950 dettero vita ad una durissima lotta contro la polizia scelbiana, occupando le terre del Bosco Grande o Selvaggio (850 ettari del Demanio incolti) che divisero equamente tra tutti i 3.200 occupanti.
Le quote migliori furono in seguito assegnate ai 17 braccianti arrestati nel corso degli scontri con la polizia.
Le quote migliori furono in seguito assegnate ai 17 braccianti arrestati nel corso degli scontri con la polizia.
Da questo episodio parte la storia sociale e politica di Rosarno raccontata come in un docufilm da uno dei suoi protagonisti, Giuseppe Lavorato, già sindaco di Rosarno e deputato del Pci : Rosarno: conflitti sociali e lotte politiche (Città del sole ed. 2016). Non è una autobiografia ma una ricostruzione storica che parte da Rosarno guardando al mondo attraverso un intreccio straordinario tra locale e globale. Dalle lotte contadine alla lotta alla ‘ndrangheta, alla nuova borghesia mafiosa che si forma negli anni ’70 quando iniziano i lavori per il grande porto di Gioia Tauro. Le storie di vita e di morte dei compagni di Rosarno che hanno combattuto in Spagna nel ’36 s’intrecciano con quelle dei compagni rosarnesi emigrati al Nord e entrati nella lotta partigiana, con i figli che negli anni ’60 e ’70 scesero in piazza per il Vietnam, per Cuba, contro il neofascismo che rinasceva strumentalizzando la rivolta di Reggio Calabria.
Ed ancora le lotte contro il caporalato mafioso, contro le quattro centrali a carbone progettate dall’Enel negli anni ’80 del secolo scorso. I sindaci della piana di Gioia-Rosarno, a partire da Momo Tripodi sindaco di Polistena si impegnarono in una forte e convinta opposizione che salvò da una colata di carbone questa terra fertile dove le arance crescono all’ombra di giganteschi ulivi, dove dalle vene dell’Aspromonte scorrono acque limpide tutto l’anno. A Rosarno passarono tutti i grandi personaggi della politica italiana: Fanfani inseguito dalle famose vacche “pendolari”, Ingrao durante i primi duri anni ’70, Andreotti che il 25 aprile del 1975 pose la prima pietra per la costruzione del V Centro siderurgico, durante una pantagruelica cerimonia ricca di dolci e caffè offerti dal clan Piromalli, il più potente della piana di Gioia- Rosarno ancora oggi. Era già in atto l’alleanza tra ‘ndrangheta, politica, servizi segreti ed estrema destra che, come documenta anche il giudice Salvini, si è andata saldando proprio agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso.
In questa storia ricca di personaggi ed eventi, colpisce la partecipazione corale ai grandi eventi della Storia di un piccolo Comune di un’area povera e marginale rispetto alla geopolitica ed economia-mondo. Provate ad immaginare questa massa di contadini poveri, braccianti, operai edili che camminano per le strade di Rosarno inneggiando al Vietnam libero, contro l’imperialismo americano, o in difesa di Cuba e della rivoluzione castrista o a sostegno dell’Intifada del popolo palestinese.
Pensate se oggi è immaginabile che in uno dei nostri piccoli Comuni si organizzino manifestazioni popolari, partecipate, vissute con passione, per denunciare il dramma del popolo curdo o la tragedia del popolo siriano o la condizione invivibile dei palestinesi nella Striscia di Gaza, o la resistenza dei docenti, giornalisti, giudici turchi alla repressione di Erdogan. È forse la cosa più importante che abbiamo perso: l’idea che tutti possono dare il proprio contributo al riscatto degli oppressi, l’idea che la storia non si fa solo nella stanza dei bottoni, che scendere in piazza ha senso, anche se non ci sono le Tv che contano a riprenderti, anche se non sei fotografato da nessuno. Da quando siamo diventati “Schiavi della visibilità” non riusciamo più a dare un valore in sé e per sé a quello che facciamo, ci siamo allontanati anni luce da quello spirito internazionalista che animava anche le piccole comunità del nostro paese.
Questa testimonianza di Giuseppe Lavorato insegna e mostra come le Grandi Opere abbiano costituito l’humus per il salto di qualità dell’accumulazione mafiosa del capitale, come in questa estrema periferia dell’economia-mondo si sia radicata una nuova forza sociale – la borghesia mafiosa – leader mondiale nel traffico della droga, dei rifiuti tossici e delle armi; come sia stata corrotta e manipolata la classe bracciantile e dei piccoli contadini attraverso le false pensioni di invalidità, le false iscrizioni alle 51 giornate per godere dell’assegno di disoccupazione per i braccianti, le fatture false e certificazioni inventate che i contadini dovevano produrre per prendersi il contributo della Ue all’agricoltura (ulivi e arance). Ed ancora: Rosarno è stato un paese di braccianti e poveri contadini che votavano in massa il Pci, in massa erano iscritti alla Cgil, che ha avuto un sindaco comunista come Giuseppe Lavorato che ha realizzato cose importanti nel campo della edilizia popolare, servizi sociali, cultura, recupero delle aree più degradate, il primo Comune italiano a costituirsi parte civile in un processo antimafia, ed uno dei primi ad utilizzare per la collettività i beni confiscati alla ‘ndrangheta.
Oggi c’è la Rosarno che abbiamo visto in Tv, quella delle marce contro gli immigrati nordafricani, degli omicidi mafiosi, la Rosarno che vota per le forze politiche del centrodestra. Il libro/testimonianza di Giuseppe Lavorato aiuta a capire il traumatico passaggio storico che abbiamo vissuto e ancora stiamo attraversando.
Fonte: il manifesto
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