di Roberto Ciccarelli
A un anno di distanza dall’accordo del 22 dicembre 2015 sull’unificazione delle fonti sul mercato del lavoro, ieri Istat, Inps, Inail e ministero del lavoro hanno emanato una nota trimestrale congiunta sullo stato dell’occupazione in Italia. Da oggi avremo uno strumento in più per proteggerci dalla sistematica opera di disinformazione praticata dai governi che hanno l’interesse politico a contestualizzare – e manipolare – i dati secondo lo storytelling più conveniente al “capo” di turno. I mille giorni di Renzi a Palazzo Chigi saranno ricordati come un caso di scuola. L’esigenza di un coordinamento nacque a seguito dall’analisi sui dati “errati” pubblicati dal ministero del lavoro nell’agosto del 2015, iniziata da Il Manifesto e diventata in breve tempo un genere giornalistico.
A distanza di un anno e mezzo, dopo 18 mesi di guerriglia informativa contro il casinò informativo di Stato, siamo arrivati a una conclusione analoga alla situazione emersa dai report dei singoli istituti coinvolti.
A distanza di un anno e mezzo, dopo 18 mesi di guerriglia informativa contro il casinò informativo di Stato, siamo arrivati a una conclusione analoga alla situazione emersa dai report dei singoli istituti coinvolti.
Nella seconda metà del 2016 l’occupazione cala, i contratti precari crescono, lavorano di più gli over 50, i più penalizzati sono i giovani. La crescita dell’occupazione sull’anno è stata calcolata in 543 mila unità, di cui 487 mila a tempo indeterminato. Coincide con l’erogazione degli incentivi pubblici (tra gli 11 e i 18 miliardi in un triennio) erogati dal governo alle imprese. Il taglio della decontribuzione per i neoassunti da 8040 a 3250 euro ha provocato un drastico calo di queste assunzioni e alla crescita dei contratti a termine che rappresentano la stragrande maggioranza degli assunti in Italia.
Confermato il boom dei voucher: venduti 121 milioni nei primi dieci mesi del 2016, 88 milioni usati, pari allo 0,23% del costo del lavoro totale in Italia. Se i voucheristi fossero all’interno di un contratto di lavoro, ci sarebbero 47 mila lavoratori a tempo pieno. Confermato l’immobilismo delle politiche attive previste dal Jobs Act. Averle legate al referendum costituzionale del 4 dicembre, e alla riforma delle competenze dello Stato e delle regioni, non ha giovato alla “seconda gamba” del Jobs Act.
L’analisi in dettaglio è utile per comprendere le diseguaglianze costitutive del mercato del lavoro. Sono sempre meno occupati gli under 35, lavorano di più gli over 50. Nella prima fascia di età l’occupazione è calata di 55 mila unità nel terzo trimestre precedente e di 29 mila rispetto a quello dell’anno scorso. Tra gli over 50 prosegue invece la crescita occupazionale, sia pure in misura minore. Gli occupati ultra-cinquantenni sono cresciuti di 79 mila unità rispetto al secondo trimestre 2016 e di 344 mila unità (+4,6%) rispetto al terzo trimestre 2015.
È l’effetto della riforma Fornero che ha allungato l’età pensionabile e oggi incide sul numero complessivo degli occupati. Il Jobs Act non crea nuova occupazione, ha eliminato le tutele contro i licenziamenti senza giusta causa e permette solo a chi aveva già un lavoro precario di averne un altro. Per giunta precario. Numeri, e tendenze, da tenere presenti quando il prossimo esponente del governo, come ha fatto il ministro del lavoro Poletti, tornerà alla carica con la retorica paternalista «contro i giovani che non lavorano» o che vanno all’estero.
INTERESSANTE l’analisi sulla composizione degli occupati dipendenti realizzata in base alle comunicazioni del ministero del lavoro: nel terzo trimestre 2016 è stato registrato un aumento congiunturale di 83 mila posizione a tempo determinato, solo 10mila a tempo indeterminato, per un totale di 93 mila unità. Questa è la proporzione media che va proiettata sull’intero mercato del lavoro: la stragrande maggioranza degli occupati in Italia è variamente precaria. Su base congiunturale la nota registra un aumento del tempo determinato dopo il ridimensionamento del trimestre precedente. Su base tendenziale c’è una crescita del tempo indeterminato prodotta a cavallo tra il 2015 e il 2016 tale da indurre ancora oggi un «effetto di trascinamento». Con il taglio degli incentivi anche questo effetto rischia di rallentare.
AUMENTANO gli infortuni sul lavoro. Nel terzo trimestre 2016 l’Inail ne ha registrati 137 mila (+1,1%). Un incremento legato alla crescita dell’occupazione e all’esposizione al rischio. Quando non c’è, il lavoro è tragico. Quando c’è, è pericoloso e anche mortale. L’Istat, infine, ha registrato a dicembre – il mese delle tredicesime – un miglioramento del clima di fiducia dei consumatori. «Non vorremmo che tali dati venissero da indagini svolte in altri Paesi – hanno commentato, non senza ironia, Adusbef e Federconsumatori – in queste feste c’è stato un mercato di puro galleggiamento ed è peggiorato a Sud. Il nostro sistema economico è ancora prigioniero di una fase di stallo».
Fonte: il manifesto
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