di Luca Martinelli
Nel 2014, oltre un quinto delle entrate messe a bilancio del Comune di Arrese, nell’hinterland di Milano, è arrivato dai “permessi a costruire”. Ciò significa che il 20,9% di tutta la spesa pubblica, compresa quella per garantire servizi ai cittadini (dagli asili alla mensa) è dipesa, cioè, dal contributo corrisposto all’ente dai soggetti che hanno realizzato interventi sul territorio. Sono cinque, tutti medio-piccoli, i Comuni italiani che -nello stesso anno- hanno visto dipendere oltre il 15% del proprio bilancio dal “ciclo dell’edilizia”: secondo i dati di OpenBilanci, progetto di OpenPolis, oltre ad Arrese anche Locate di Triulzi (MI, 20,8%), Lainate (MI, 17,9%), Ozzano nell’Emilia (BO, 16,8%) e Corte Franca (BS, 15,6%). Poco più sotto stanno Noventa di Piave (VE, 14,3%), Segrate (MI, 13,5%), Trezzo sull’Adda (MI, 13,4%), Santorso (VI, 13,4%) e Cermenate (CO, 12,2%).
“Questi dati evidenziano che in alcuni casi un settimo o addirittura un quinto della ‘vita dei Comuni’, compresa la spesa nel sociale, è appesa al filo del ciclo edilizio, e questo è un dato preoccupante -dice Paolo Pileri, che insegna al Politecnico di Milano e per Altreconomia ha scritto “Che cosa c’è sotto”, il libro che affronta le problematiche legate al suolo-. Se anche volessimo suggerire a Regioni e Stato di spingere l’acceleratore sul ‘recupero’ del patrimonio edilizio già esistente e delle aree dismesse, attraverso sconti e incentivi (ovvero riducendo a zero le entrate pubbliche relative alle imposte che si potrebbero richiedere per quelle attività edilizie), i Comuni avrebbero davanti a loro scenari di mancati incassi preoccupanti a fronte dei quali non ricevono nulla in cambio”.
Secondo Pileri, da un’analisi dei dati -il Comune che ha incassato di più in termini assoluti nel 2014 è quello di Roma, con oltre 120 milioni di euro, mentre se si guarda al dato pro-capite il primo Comune italiano è Forte dei Marmi, in Versilia, con introiti pari a 375 euro per ognuno dei 7.679 abitanti- emerge “un quadro ‘sbandato’, dove non si rintracciano relazioni tra popolosità e raccolta di denari attraverso i permessi a costruire”. Un tema che Pileri segnala già nel suo libro, spiegando che tra il 1999 e il 2007 un Comune tra i 500 e i 1.000 abitanti ha consumato -in media- quasi 5.000 m2 per dare casa ad un nuovo abitante, mentre lo stesso abitante consumava 660 m2 se veniva insediato in un Comune tra i 10mila e 20mila abitanti.
Guardando ai bilanci dei Comuni, inoltre, appare evidente una carenza per quanto riguarda la raccolta della base di dati: “I numeri divulgati da OpenBilanci andrebbero approfonditi cercando di capire alcuni elementi chiave, come ad esempio l’origine delle entrate da permessi a costruire e la destinazione delle risorse e la consapevolezza che hanno i cittadini del comportamento dei loro governanti”. Secondo Pileri, in particolare, gli enti locali dovrebbero essere invitati a suddividere i proventi tra permessi a costruire che arrivano da consumi di suolo libero o da ristrutturazioni/recuperi/cambi di destinazione d’uso; sarebbe inoltre importante che i bilanci comunali rendessero esplicito come gli enti hanno speso i soldi, se in investimenti strutturali o in spesa corrente.
Nel caso di Arese e Lainate, due dei tre Comuni sul podio nel 2014, è facile immaginare che i grandi introiti siano legati agli interventi di “riqualificazione” realizzati nell’area ex Alfa Romeo, dov’è stato costruito -e inaugurato nell’aprile del 2016- il centro commerciale più grande d’Europa, con una superficie di circa 120mila m2. Anche se si tratta di un recupero, chi si occupa di urbanistica considera anche la problematicità di altri elementi, come quelli legati al traffico indotto (“Arese, in troppi al centro commerciale dei record: chiude lo svincolo A8, autostrada in tilt”, con 10 chilometri di coda”, milano.repubblica.it).
“Questi elementi fanno la differenza -sottolinea Pileri-, mentre oggi Regioni e Stato si trovano in mano una base di dati poverissima, e mi chiedo come possano prendere decisioni tali da modificare il corso delle cose”, come ad esempio quella contenuta nella legge di Stabilità del 2017, che prevede che dal 1° gennaio 2018 i Comuni non potranno più coprire le propri spese correnti con gli incassi dei permessi a costruire, i cosiddetti “oneri di urbanizzazione”. Sempre che il governo che sarà in carica il prossimo autunno non posticipi o cancelli questa misura.
Fonte: Altreconomia
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