di Nicolas Martino
All’inizio furono due antologie a proporre il pensiero radicale italiano al pubblico di lingua inglese . Un numero della rivista Semiotext(e) intitolato «Autonomia» (1980), curato da Lotringer e Marazzi, e poi «Radical Thought in Italy» (1996) a cura di Michael Hardt e Paolo Virno. Da quel momento è cresciuto progressivamente l’interesse per la produzione filosofica italiana, soprattutto quella di derivazione operaista e post-operaista, e si è iniziata a diffondere l’idea di una cosiddetta Italian Theory.
Ora una nuova pubblicazione a cura di Pietro Maltese e Danilo Mariscalco, Vita, politica, rappresentazione. A partire dall’Italian Theory (ombre corte, pp. 208, euro 18), raccoglie i materiali di un convegno e prova a fare il punto su un dibattito che in Italia ha preso l’abbrivio grazie a «Pensiero vivente» (2010) di Roberto Esposito, e «Italian Theory» (2012) di Dario Gentili, preceduti da un velenoso affondo di Toni Negri, «La differenza italiana» (2005). Ricostruita con precisione dai curatori, la questione ruota intorno all’ipotesi fondamentale che regge l’idea di una «via italiana» alla filosofia, quella di un pensiero sradicato e cosmopolita, estraneo al paradigma sovranista e neutralizzante che ha caratterizzato la modernità, strutturalmente biopolitico, antifondativo e in presa diretta con le vicende storiche e politiche.
Quindi un pensiero costitutivamente conflittuale e sintonizzato sul ritmo dell’immanenza, e che proprio per queste sue caratteristiche risulterebbe particolarmente a suo agio in un mondo globalizzato e post-statuale.
Certo questa ipotesi è suggestiva, e se può sembrare ingeneroso ridurre l’Italian Theory a un’operazione di marketing culturale, occorre però aggiungere una glossa. Il fatto è che lo stesso dispositivo dell’Italian Theory è conflittuale, ovvero attraversato al suo interno da spaccature e differenze, tensioni che ne eccedono i confini, e che occorre percorrere fino in fondo, perché insistere sulle differenze serve a decidere da che parte stare. E in questa direzione vanno alcuni dei saggi contenuti in questa raccolta, senz’altro quello di Mariscalco che attraversa il «divenire culturale» del general intellect dal ’77 in poi, per riscoprirne ancora oggi tutta la potenza trasformativa, e quello di Maltese che, ripercorrendo le letture su un Gramsci foucaultiano, inserisce produttivamente il comunista sardo nel paradigma biopolitico. Insomma, dentro e contro l’Italian Theory, si tratta, ancora una volta e come sempre, di prendere partito.
Fonte: il manifesto
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