di Ascanio Bernardeschi
L'oggetto principale del referendum del 4 dicembre è stato la Costituzione nei suoi contenuti democratici e sociali. Accanto a questo oggetto, per via del cosiddetto “combinato disposto”, c'era il sistema elettorale, questione sempre strettamente attinente alle regole e alle garanzie del sistema istituzionale. Infine, visto il pesante intervento nella campagna referendaria di forti potentati economici e finanziari e visto il taglio che lo stesso Renzi aveva dato alla sua volgare propaganda, c'era un giudizio su di lui, sul suo governo e sulle sue riforme (Jobs Act, Buona Scuola ecc.).
La valanga di No e la sua prevalente dislocazione fra gli strati sociali in maggiore sofferenza, ha quindi respinto l'ipotesi di una democrazia plebiscitaria orientata a portare a compimento la compressione in atto dei diritti e delle tutele sociali, come richiesto da autorevoli agenti internazionali del capitale [1], e con essi della stessa rappresentanza delle classi svantaggiate.
Il sistema elettorale è naturalmente componente essenziale dell'agibilità politica delle masse popolari.
Il sistema proporzionale è quello preferibile perché impedisce che i voti dei cittadini contino in maniera diversa in virtù di meccanismi artificiosi. Il motto della Rivoluzione francese (una testa, un voto) rimane valido. L'articolo 1 della nostra Costituzione proclama che “la sovranità appartiene al popolo”, non a una élite politica subordinata agli oligarchi. Certamente vanno estesi gli strumenti di democrazia diretta e di partecipazione popolare, ma è ineludibile la necessità di forme di democrazia rappresentativa. Il sistema elettorale deve essere perciò coerente con il significato del termine “rappresentativa”.
I sistemi orientati in senso maggioritario comportano una forzata aggregazione delle forze politiche intorno a “poli” che per vincere devono guardare fortemente al centro [2], quindi un appiattimento intorno alle ragioni dei poteri dominanti, riducendo le possibilità di rappresentanza di coloro che propugnano una reale alternativa politica e non solo di facciata. Inoltre fanno sì che il voto dato alla lista che prevale valga un multiplo dei voti dati alle altre liste.
Fra i sistemi elettorali maggioritari, spicca per la sua particolare iniquità, a fronte – come vedremo – di vantaggi pressoché nulli, quello uninominale. Tale sistema prevede piccoli collegi elettorali. In ogni collegio viene eletto un solo candidato, quello che raccoglie il maggior numero di voti, anche se questi rappresentano percentuali ben al di sotto della maggioranza assoluta. Tutti gli altri voti, la netta maggioranze se siamo di fronte a una realtà tripolare, non contano nulla, sono buttati via.
Il “Mattarellum”, dal nome dell'attuale Presidente della Repubblica che lo ideò, fu introdotto nel nostro sistema politico sull'onda dei referendum promossi da Segni e che stravinsero strumentalizzando la collera popolare contro “Tangentopoli”. È un sistema maggioritario uninominale che prevede una correzione dell'esorbitante torsione maggioritaria con una quota del 25 per cento di seggi assegnabili con il sistema proporzionale. Una correzione assai marginale. Inoltre viene previsto un ulteriore meccanismo discriminatorio, lo sbarramento del 4 per cento che, pur discutibile in sé, è tollerabile in un sistema proporzionale, ma del tutto irragionevole all'interno di un meccanismo che già falcidia le formazioni minori.
Questo sistema è stato in vigore dai primi degli anni ‘90 fino alla legislatura precedente l'attuale. È mia profonda convinzione che i guai per le classi lavoratrici e per chi dovrebbe rappresentarle si siano nettamente aggravati proprio a partire dalla sua introduzione.
All'Assemblea nazionale del PD del 18 dicembre, Renzi, accantonata la promessa di tornare a vita privata e incurante della batosta subita, ha proposto la riesumazione di questo sistema elettorale e anche la sinistra PD, per bocca del suo portavoce Roberto Speranza, non solo si è detta d'accordo, ma addirittura ha rivendicato come sua la proposta: “perché si riconsegna ai cittadini la possibilità di scegliere i deputati" [3].
Esaminiamo per punti le ragioni della particolare perversità di questo sistema.
1. Il sistema viene decantato perché consente un rapporto più stretto fra eletti ed elettori. Falso: in ogni collegio passa un solo candidato. Tutti gli elettori che non lo hanno votato – spesso la schiacciante maggioranza – vengono privati della rappresentanza e di un rapporto con l'eletto.
2. La scelta dei deputati da parte dei cittadini è una vana Speranza (nomen omen): il candidato unico nei collegi “buoni” lo sceglie il partito e l'elettore non sceglie un bel niente.
3. Una forza al 10-15 per cento spalmata omogeneamente sul territorio nazionale difficilmente potrà vincere in qualche collegio e quindi la propria rappresentanza sarà fortemente ridimensionata, riducendosi tendenzialmente all'irrisorio recupero proporzionale. Un'altra forza con la medesima percentuale su base nazionale, ma i cui consensi sono invece maggiormente concentrati in determinate aree territoriali (per esempio la Lega) avrà una rappresentanza sovradimensionata.
4. Per la stessa ragione il primo partito potrebbe ottenere meno seggi di partiti meno votati. Molto è dovuto al caso, o meglio da come sono ripartiti i voti fra i collegi. La recente elezione di Trump negli Usa ne è l'esempio più lampante: Pur prendendo 2 milioni e mezzo di voti in meno della Clinton, il ricco “imprenditore” si è assicurato la maggioranza dei grandi elettori che lo hanno incoronato. Come negli Usa, i voti nei collegi”sicuri” hanno poca importanza. Contano quelli nei collegi incerti, in quanto possono far pendere la bilancia della vittoria da una parte o dall'altra.
5. Per avere una rappresentanza adeguata le forze minori sono costrette a coalizzarsi, con scarso potere di incidere e a scapito della loro autonomia.
6. Le aggregazioni forzate favoriscono, dopo il voto, i ribaltoni e i peggiori trasformismi.
7. Le forze minori sono penalizzate non solo dal meccanismo in sé, ma anche dal fatto che esso induce al “voto utile”, dirottando parte dei consensi sul “meno peggio” che abbia qualche possibilità di conquistare il collegio.
8. Favorisce la personalizzazione della politica, il clientelismo e i demagoghi. Berlusconi è stato il primo frutto di questo sistema la cui introduzione non ha portato la chiusura della stagione di “Tangentopoli”, anzi da allora la corruzione in politica è aumentata.
9. Non assicura la governabilità. Potrebbe accadere che nessuno schieramento abbia la maggioranza dei seggi. Dipende ancora una volta dalla ripartizione dei voti fra i collegi. In un sistema tripolare, a maggior ragione, la “governabilità” è quasi certamente una chimera (un'altra Speranza). Non che il fatto ci turbi, essendo molto più importante la rappresentanza che la governabilità (oltretutto, col proporzionale, in vigore dal 1948 agli anni 90, la Repubblica è stata stabilmente governata dalla Dc e dai suoi alleati). Ma a fronte dello scempio della rappresentanza, il vantaggio a cui molti invece dicono di tenere non sussiste nella maniera più assoluta. A meno che non si aggiunga al sistema anche un premio di maggioranza a livello nazionale, come è stato proposto da alcuni. In questo caso però si aggiungerebbe a un meccanismo già ipermaggioritario, un'ulteriore dose di iniquità.
10. Il “Mattarellum pertanto è un sistema, con una dose di ingiustizia in più e che si presta ancor più dell'Italicum, sottoposto alla verifica dell'Alta Corte, alle censure che determinarono la bocciatura del “Porcellum”.
Le lezioni della storia pare che non bastino. Si insite con i sistemi maggioritari che più che un mattarello costituiscono uno strumento a esso assai somigliante, utile a manganellare il diritto di rappresentanza dei lavoratori.
Note:
[1] Sul rapporto fra la riforma Renzi-Boschi-Verdini e le esigenze del capitale in crisi, mi permetto di rimandare al mio precedente articolo nel numero dell'8 aprile 2016 di questo giornale, Referendum: una risposta al liberismo.
[2] È stato anche formulato in proposito da Duncan Black, con una dimostrazione matematica che qui ometto, il cosiddettoteorema dell'elettore mediano. Anche senza complicati ragionamenti è intuibile che in un sistema elettorale che conferisce una maggioranza artificiosa di seggi a uno schieramento, o – come nel caso del sistema uninominale – assegna il seggio di un collegio a un unico vincitore, la conquista del voto di centro è essenziale per prevalere sullo schieramento avverso o per conquistare il collegio uninominale. In pratica l'elettore “mediano”, cioè quello che si colloca esattamente al centro della contesa, vince sempre.
Fonte: La Città futura
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