di Michele Giorgio
Non è chiaro se l’idea avanzata dai russi di una piena autonomia per il Rojava incontri il favore, almeno parziale, di Damasco e del presidente Bashar Assad. In ogni caso i diritti del popolo kurdo restano una delle questioni più rilevanti tra quelle emerse nei quasi sei anni di guerra civile siriana. I vari attori regionali e internazionali, dagli Stati Uniti alla Turchia, l’hanno allineata ai loro interessi, escludendo intenzionalmente il governo siriano che pure è (e sarà) l’interlocutore principale dei rappresentanti del popolo kurdo in un ipotetico tavolo di negoziato sullo status futuro del Rojava.
I kurdi, di fatto, già governano in piena autonomia larghe porzioni del territorio siriano settentrionale dove vivono anche sunniti, assiri, armeni, turcomanni e yazidi. Il governo centrale ha preferito fare un passo indietro pur di arrivare a un patto di non belligeranza non scritto con le formazioni combattenti kurde.
Queste, dopo un’iniziale adesione alla “ribellione”, hanno adottato una posizione di equidistanza tra Damasco e l’opposizione sempre più controllata dagli islamisti sponsorizzati da Turchia, Qatar e Arabia saudita e sempre meno disposta ad assecondare il desiderio di libertà del popolo kurdo.
Ciò le ha rese più forti, ma non necessariamente più unite, nell’affrontare la minaccia principale rappresentata dalla Turchia, il più potente e agguerrito dei nemici delle aspirazioni kurde.
Il quadro attuale è molto diverso da quello precedente all’inizio della guerra civile, quando Damasco attuava nei confronti dei kurdi in Siria una linea che si è adattata a differenti scenari politici ed economici.
Da un lato l’autorità centrale ha fatto uso in passato del pugno di ferro – specie in occasioni di proteste pubbliche – per frenare le ambizioni territoriali e politiche della minoranza kurda (circa due milioni di persone, presenti non solo nel nord del paese ma anche a Damasco), evitando peraltro di dare una soluzione definitiva al problema di circa 300mila kurdi che non hanno mai ottenuto la cittadinanza siriana.
Dall’altro il governo ha permesso per anni un moderato attivismo politico al Partiya Yekîtiya Demokrat (Pyd, una propaggine del Pkk curdo in Turchia) e persino paramilitare (fintanto che è stato diretto contro la Turchia) chiudendo un occhio, spesso entrambi, sulle attività di contrabbando che hanno garantito un reddito a molti kurdi. Tolleranza dovuta anche al peso che il Rojava ha sempre avuto, dal punto di vista energetico e agricolo, per l’economia nazionale .
Ciò ha consentito ai kurdi di godere di un reddito superiore a quello del resto della popolazione. Si è quindi formata anche un’élite benestante che ha oscillato tra la cooptazione nel sistema nazionale siriano e la realizzazione delle aspirazioni nazionalistiche kurde.
Il Rojava si estende dall’estremo est fino all’estremo ovest della Siria. Si chiama così (“ovest”) poiché è la parte occidentale del Kurdistan diviso tra quattro Stati: Turchia, Iraq, Iran e Siria. Occupa un’area di circa 19mila km2 distribuiti fra tre regioni: Jazira (Cizire), Kobane (Kobani) e Afrin.
Quella di Jazira possiede significative riserve energetiche – petrolio e gas naturale -, mentre quella dell’ormai celebre città di Kobane vede un’importante produzione di cereali e cotone. La regione di Afrin è nota per sua produzione di olio d’oliva.
Il conseguimento, dopo il 2012, dell’autonomia di fatto ha elevato il livello del dibattito nel Rojava sulla realizzazione non solo di quella democrazia popolare progressista che suscita interesse in tutto il mondo, ma anche sul modello economico da realizzare.
L’”economia sociale”, come la chiamano molti, che si affaccia nel Rojava, non è una semplice reazione alle difficoltà create dal capitalismo.
È un ripensare all’economia come una scienza con la funzione di garantire il soddisfacimento delle necessità primarie degli esseri umani, dal lavoro al cibo all’assistenza sanitaria, sapendo di avere a disposizione risorse limitate, anche a causa della guerra, e non potendo contare sulle tante professionalità locali costrette ad emigrare.
L’economia sociale si può definire la realizzazione diretta e concreta di delle teorizzazioni socialiste di Abdallah Öcalan.
La proprietà privata non viene messa in discussione, almeno non dalla maggioranza delle forze in campo. Allo stesso tempo è una sfida al liberismo che domina nella regione mediorientale. Con questo modello ancora in divenire nel Rojava, le autorità centrali siriane saranno chiamate a negoziare e a raggiungere un’intesa se e quando si aprirà una vera trattativa sul futuro della Siria, oltre i disegni delle potenze regionali e internazionali.
Fonte: Il manifesto
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