di Luca Tancredi Barone
La frattura che attraversa Podemos si estende dal centro verso la periferia. E in Catalogna investe in pieno Podem, la marca catalana del movimento viola, colta in pieno processo di costruzione di un nuovo soggetto politico sotto l’egida della sindaca di Barcellona, Ada Colau. A guidare Podem Catalunya è il deputato al parlamento di Barcellona Albano Dante Fachín cresciuto come attivista contro le politiche sanitarie del governo di Artur Mas, e oggi affiancato da un’esecutiva affine al «terzo polo» di Podemos, il movimento anticapitalista.
Lo stesso Fachín è considerato affine alla leader andalusa Teresa Rodríguez, una delle facce più conosciute della corrente anticapitalista di Podemos, e famosa per i suoi scontri parlamentari con la presidente andalusa Susanna Díaz, a sua volta segretaria in pectore dei socialisti. Il settore errejonista, rappresentato fra gli altri da Marc Bertomeu e dalla deputata catalana Jessica Albiach, perdenti nella competizione per guidare Podem Catalunya, è stato invece allontanato dall’esecutivo proprio la settimana scorsa. E questo nonostante pochi giorni prima Fachín fosse stato pesantemente fischiato durante l’incontro con Iglesias proprio per i suoi metodi considerati da alcuni un po’ troppo spicci.
Lo stesso Fachín è considerato affine alla leader andalusa Teresa Rodríguez, una delle facce più conosciute della corrente anticapitalista di Podemos, e famosa per i suoi scontri parlamentari con la presidente andalusa Susanna Díaz, a sua volta segretaria in pectore dei socialisti. Il settore errejonista, rappresentato fra gli altri da Marc Bertomeu e dalla deputata catalana Jessica Albiach, perdenti nella competizione per guidare Podem Catalunya, è stato invece allontanato dall’esecutivo proprio la settimana scorsa. E questo nonostante pochi giorni prima Fachín fosse stato pesantemente fischiato durante l’incontro con Iglesias proprio per i suoi metodi considerati da alcuni un po’ troppo spicci.
Ma la posizione dei viola catalani formalmente è di equidistanza rispetto alle tre liste che si disputano il controllo del partito a Vistalegre: in un documento si invitano i militanti a «leggere con attenzione tutti i programmi che concorrono alla prossima Assemblea statale», rifuggendo da una «battaglia vuota» di nomi. Quello che invece è indispensabile per Podem è una decentralizzazione di Podemos. Concretamente, rivendicano la «sovranità giuridica, economica e finanziaria di Podem» ed esigono l’autonomia decisionale dei territori sulle alleanze: punti «imprescindibili» per «continuare ad avanzare», come scrivono. Soprattutto in una questione che sembra stare molto a cuore dell’attuale leadership viola a Barcellona: la costruzione del soggetto politico comune con altre forze della sinistra catalana non indipendentista.
«Un paese in comune» è il nome scelto il 29 gennaio per lanciare un dibattito che durerà fino ad aprile per riempire di contenuti la scommessa politica di Colau. In questa convergenza però il settore di Albiach e Bertomeu vorrebbe che Podem mantenesse maggiore protagonismo. Non è ancora chiaro come si articolerà la presenza delle diverse sigle nel nuovo partito: ma la filosofia di fondo che guida il progetto è quella di superare i partiti tradizionali, compreso Podemos. En comú podem, l’alleanza elettorale che è arrivata prima alle ultime elezioni politiche in Catalogna, che ricalca per molti aspetti questo nuovo soggetto politico, e che mette nella stessa lista Podemos, Izquierda Unida, i rossoverdi di ICV, il nucleo duro colauista e altri, fa sapere: «seguiremo i dibattiti di Vistalegre con l’interesse e il rispetto che si merita un partito fratello come Podemos».
Ma sottolineano: «a livello catalano, il dibattito di Vistalegre non influisce per niente. Noi siamo concentrati nella costruzione di un nuovo spazio politico». Benché sia uno delle questioni centrali della crisi politica a livello statale, che investe in pieno lo scontro sempre più acuto fra il governo di Madrid e quello di Barcellona, il tema territoriale in quanto tale, «non sta giocando nessun ruolo nei dibattiti». dicono, «perché tanto Podemos come En comú podem sono d’accordo che il popolo catalano ha il diritto di decidere il suo futuro». E questo si fa «con un referendum con almeno tre garanzie: un riconoscimento internazionale, un coinvolgimento di tutto il popolo catalano ed effetti giuridici e politici chiari dopo la celebrazione».
Si tratta di uno degli elementi più dirompenti della politica spagnola. Lo stesso Pablo Iglesias a Barcellona ricordava che crede nella «plurinazionalità» e che la Catalogna possiede «una sovranità che deve poter applicare». Non era mai successo in 40 anni che un partito nazionale con un quarto dei voti difendesse apertamente un referendum di autodeterminazione in termini univoci. Addirittura Íñigo Errejón quando visita la Catalogna, nei comizi si rivolge al pubblico in catalano: evento più unico che raro per un politico nato e cresciuto a Madrid, e che indica una sensibilità del tutto nuova verso la diversità linguistica spagnola.
Fonte: Il manifesto
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