di Piero Bevilacqua
Volete avere, in frammento, un’idea della pochezza culturale e della mediocrità irrimediabile delle nostre classi dirigenti? Osservate le vicende del nuovo stadio della Roma. Già un nuovo stadio in una città come la Capitale, resa ormai informe dalla cementificazione dell’ultimo quindicennio, dovrebbe apparire come un delitto urbano. La città è soffocata dal traffico per i troppi poli di espansione costruiti senza collegamenti in ferro. Esistono già due stadi, uno dei quali il Flaminio è in uno stato vergognoso di abbandono. E nessuno si sogna di ristrutturarlo.
Le squadre di calcio , in Italia, perdono costantemente spettatori e hanno una media di presenze a partita di circa 21 mila spettatori, che è fra le più basse d’Europa.
La Roma, fra l’altro, è fra le squadre italiane quella che subisce, insieme al Napoli, la maggiore contrazione: – 17,8% nell’ultima stagione. Ebbene, sembra che la costruzione del nuovo stadio debba decidere i destini prossimi venturi della città.
«Vogliamo il nostro Colosseo moderno» twitta il capitano Francesco Totti, che spende in questo modo «edificante» – è il caso di dirlo – la propria popolarità in definitiva contro la Giunta e soprattutto contro l’assessore Berdini.
Ma l’assessore Berdini non si oppone allo stadio, pretende il rispetto, quanto meno, del Piano regolatore. Questi eroi dello sport, li vorremmo vedere qualche volta spendere la loro popolarità per rivendicare una migliore condizione del vivere civile, per la pulizia delle strade, per la sicurezza delle nostre scuole. A Totti si è poi aggiunto l’allenatore della Roma, Spalletti, che ha dettato le linee-guida della futura programmazione urbanistica della città. La quale – a suo dire- si deve dotare dei «suoi stadi», come Londra e le altre città europee.
Non poteva mancare naturalmente il rafforzo – o l’endorsement, come direbbero gli anglisti – del presidente della Regione Nicola Zingaretti, che crede molto nel cemento per lo sviluppo economico di Roma e dintorni.
Ma in soccorso della nobilissima causa è arrivato addirittura il cinguettio – la regressione zoologica dell’umano parlare ci conforta molto per l’avvenire – dell’ex presidente del Consiglio: «Se si dice no a tutto, come accade in qualche città, si blocca il futuro. E ci si condanna a vivere di rimpianti».
Il nostro futuro è il nuovo stadio della Roma?
Vi immaginate che immane perdita e da quali cocenti rimpianti saremmo tormentati se non si dovesse costruire? E’ questa la visione e l’orizzonte progettuale dell’uomo nuovo osannato da mezza Italia? E nessuno grida che siamo alle solite, che un ceto imprenditoriale predone e un’opinione pubblica bombardata persistono in una strada fallimentare di sviluppo economico? La vecchia strada che punta non a investimenti innovativi, in tecnologie e servizi, ma all’edificazione e al consumo di suolo quali leve per la cosiddetta crescita?
Oggi dovremmo considerare penalmente rilevante il consumo di suolo in un Paese dissestato come l’Italia e a Roma facciamo finta di niente, solo perché l’inverno è stato secco. Ma è questa, ahimé, la memoria civile e territoriale d’Italia. Ne riparleremo alla prossima alluvione.
Fonte: il manifesto
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