di Paolo Gerbaudo
L’insediamento di Trump come presidente degli Stati Uniti è un evento che deve far riflettere la sinistra e i movimenti. Come è possibile che siamo arrivati a questo punto? Quale livello di cinismo e disperazione ha portato il popolo statunitense a scegliere come proprio comandante in capo un personaggio così squallido e pericoloso? Ma soprattutto perché la sinistra si è dimostrata incapace di catturare la rabbia popolare provocata dalla crisi economica del 2008? Queste domande non riguardano solo la politica americana ma ci toccano da vicino. Non solo perché quello che succede negli Stati Uniti ci riguarda a causa del loro ruolo di egemoni globali.
Ma pure perché anche a casa nostra, in Italia e in altri paesi europei, dobbiamo fare i conti con tanti piccoli aspiranti Trump – da Marine le Pen in Francia, a Matteo Salvini e Beppe Grillo in Italia – populisti di destra che sperano di prendere il potere seguendo la strada dal magnate newyorkese.
Ma pure perché anche a casa nostra, in Italia e in altri paesi europei, dobbiamo fare i conti con tanti piccoli aspiranti Trump – da Marine le Pen in Francia, a Matteo Salvini e Beppe Grillo in Italia – populisti di destra che sperano di prendere il potere seguendo la strada dal magnate newyorkese.
La ragione per cui Trump e i suoi simili stanno vincendo è il fatto che la sinistra ha abdicato al suo ruolo di rappresentante degli interessi popolari. Durante la fase della globalizzazione, una fase di grandi cambiamenti positivi ma pure di crescente ineguaglianza, la sinistra ha perso il contatto con i suoi storici riferimenti sociali subendo l’egemonia culturale e l’agenda politica degli alfieri del neoliberismo. Si è dimenticata di ascoltare i cosiddetti left behind (letteralmente i “lasciati indietro”), quelli per cui la globalizzazione ha significato impoverimento e marginalizzazione, e ha finito per vedere il popolo come un impaccio, consegnandolo cosi nelle braccia dei populisti di destra.
Come suggerisce il manifesto di Senso Comune per un populismo democratico pubblicato lo scorso novembre, a pochi giorni dall’elezione di Trump, l’unico antidoto alla politica xenofobica di Trump, le Pen e Salvini, è costruire un “populismo di sinistra”, una politica che incanali la rabbia popolare contro nemici veri piuttosto che contro capri espiatori: contro le oligarchie finanziarie che continuano ad arricchirsi a nostre spese, piuttosto che contro i migranti usati come capro espiatorio dalla nuova destra.
Il populismo di sinistra, un termine che fa specie a molte persone, per il significato peggiorativo che il termine populismo ha ancora nel senso comune, è una strategia che negli ultimi mesi ha ricevuto il sostegno di molti intellettuali, dall’economista francese Thomas Piketty alla filosofa statunitense Judith Butler. Si tratta pure della strategia che ha portato a successi inaspettati nuove formazioni di sinistra emerse negli ultimi anni come Podemos in Spagna, e candidati ribelli come Bernie Sanders negli Stati Uniti, che si sono spesso appellati al popolo e hanno attaccato ferocemente l’establishment politico ed economico. Il populismo di sinistra, una politica che unisca il popolo attorno a obiettivi progressisti, piuttosto che attorno a una politica dell’odio, si sta dunque dimostrando come l’unica ricetta efficace per rispondere al populismo di destra.
Fare una politica populista di sinistra significa recuperare quello spazio che la sinistra si è fatta rubare dall’estrema destra negli ultimi anni. Significa smettere di vedere le classi popolari come il nemico, a causa della loro ignoranza e arretratezza culturale, e ricordarsi che l’azione politica deve andare di pari passo con un’azione pedagogica e culturale. Significa pure smettere di “fare diga contro il populismo”, che significa in fin dei conti fare da “scudi umani” per un sistema neoliberista fallito su tutti i livelli.
Spetta alla sinistra e i movimenti riempire il vuoto politico aperto dalla crisi economica del 2008; certo non alla destra che ne è stata il primo artefice con le sue politiche neoliberiste negli ultimi decenni. Ma solo se sapremo recuperare la connessione con il popolo, solo se sapremo parlare alle classi più povere della popolazione, con tutte quelle persone che in questo momento si sentono dimenticate e abbandonate, potremo evitare che l’insediamento di Trump alla Casa Bianca sia l’inizio di una grande ondata di destra in tutto il mondo, e che il neoliberismo passi il testimone a un nuovo autoritarismo.
Articolo pubblicato su Via Romagnosi (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli) il 7/2/2017
Fonte: senso-comune.it
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