di Sergio Farris
Il Ministro Pier Carlo Padoan è il vessillo dell'inconsistenza insita nell'attuale governo in carica. Il governo Gentiloni, come il suo predecessore, altro non fa che cercare di illudere circa la appropriatezza delle sue politiche, ormai stantìe. Si sa, gli operatori nei mercati finanziari sono caratterizzati dal duplice ruolo di investitori/speculatori. Nonostante l'impegno della BCE, repentini movimenti di capitali sono in grado di aumentare il famigerato “spread”, e ciò oggi avviene sia a causa dei toni che connotano la campagna elettorale in Francia, sia a causa dell'ipotesi di una prossima attenuazione, avanzata dalla cancelliera Merkel, dei legami fra i paesi centrali e fra i paesi periferici dell'eurozona.
Lo “spread” fra i titoli decennali italiani e gli omologhi titoli tedeschi è salito da 180 a 200 punti base e, immediatamente, Pier Carlo Padoan ha rimesso sul grammofono il disco, ormai rotto, con incisa la cantilena che individua nel debito pubblico la cagione del rialzo.
Lo “spread” fra i titoli decennali italiani e gli omologhi titoli tedeschi è salito da 180 a 200 punti base e, immediatamente, Pier Carlo Padoan ha rimesso sul grammofono il disco, ormai rotto, con incisa la cantilena che individua nel debito pubblico la cagione del rialzo.
Eppure, oramai tutti sanno che il rischio del nostro debito pubblico va in realtà interpretato come rischio di ridenominazione dei relativi titoli in altra valuta. Un rischio che è oggi estremamente più tenue di quanto non fosse nel 2011, all'apice della crisi dell'euro. Oggi l'Italia può contare su un avanzo della bilancia dei pagamenti, e solo il 30% circa dei titoli italiani è collocato all'estero. Il vero problema del paese, il quale può ripercuotersi sul “rischio sovrano”, è che esso non cresce, ma questo avviene proprio a causa del rispetto dei vincoli impostici dalla UME, sottoscritti a suo tempo dai nostri politici.
Il fatto è che il governo italiano ha le mani legate, e tale costrizione va intesa tanto da un punto di vista oggettivo (leggasi percorso di rientro dal debito segnato dall'adesione al “Fiscal Compact”) quanto da un punto di vista soggettivo (leggasi imbarazzante soggezione culturale a un'ideologia che sarebbe dovuta essere stata rigettata subito dopo il conclamato insuccesso dell'austerità).
Il secondo aspetto porta alla considerazione che, se anche il governo Gentiloni potesse prescindere dal primo aspetto, se cioè avesse maggiori possibilità di operare in disavanzo, esso preferirebbe concentrarsi ancora una volta su una politica di poco sensate riduzioni di tasse (dichiarazione rilasciata ieri da Simona Bonafè) e di ulteriori incentivi ai fattori “dell'offerta” (come quelli inseriti nell'ultima “legge di stabilità”).
Cosa ha dichiarato ieri Padoan? Il taglio del debito è centrale. E allora, ancora privatizzazioni per far scendere il debito pubblico! A parte il fatto che non resta tantissimo, ormai, da privatizzare, cosa comporta la continua cessione di attività pubbliche, anche azionarie? La rinuncia a introiti, anche sotto forma di dividendi. Sarà certo, il Ministro dell'Economia, circa la bontà dello strumento prescelto per far calare il debito in valore assoluto? La realtà dice che si tratta di una follia, la quale non fa che ricordarci la subalternità dell'attuale classe politica agli interessi privati.
Perchè non concepire un programma di serio recupero dell'evasione fiscale, di redistribuzione progressiva del reddito , di investimenti pubblici per la crescita?
Il governo “tira a campare” sperando di pervenire a fine legislatura. E sperando in un miracolo economico che, in uno stagnante quadro di condizioni oggettive e soggettive, non ci sarà.
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