di Manolo Monereo
Non è facile capire il dibattito reale in corso all’interno di Podemos, anche se in fondo continua a essere il dibattito che lo ha visto nascere. Provo a spiegarlo. La prima questione importante, è che in Spagna è in corso una crisi di regime. Se c’è qualcosa che negli ultimi 30 anni ha funzionato bene, è stata la stabilità del sistema politico e un consenso sociale molto ampio; entrambi sono stati costruiti attorno alla promessa di crescita economica, benessere sociale e appartenenza all’Ue intesa come destino. Il Psoe è stato per molti versi il partito del regime: garantiva la modernizzazione capitalista, si allineava agli interessi dei gruppi economici dominanti e otteneva un rilevante consenso tra le classi lavoratrici.
Tutto questo si è rotto nel 2008, con la crescita della disoccupazione, il taglio radicale dei servizi e dei diritti sociali e la radicale messa in discussione dei partiti dominanti da parte dei cittadini, accelerata dall’evidenza della corruzione come fatto sistemico. In secondo luogo, è stata fondamentale la mobilitazione del 15-M (gli Indignados), una mobilitazione senza precedenti – costituita da lavoratori, classi medie in via di proletarizzazione e una frattura generazionale riguardante il futuro e le aspettative dei giovani – che ha chiesto democrazia reale, protezione sociale e difesa delle livertà civili.
Terzo, Podemos come rottura. Izquierda Unida non era stata capace di entrare in sintonia con le pratiche e le rivendicazioni del 15M. Podemos nasce per questa incapacità ed è la scommessa operata da un gruppo di persone provenienti da pratiche e tradizioni politiche diverse che avevano vissuto esperienze importanti in America latina, nel contesto politico che è stato denominato «populismo di sinistra».
Podemos ha conseguito ciò che non era riuscito alla Izquierda Unida di Julio Anguita: disputare l’egemonia al Psoe. Ciò ha messo in crisi il sistema dei partiti. I cittadini hanno percepito con piena chiarezza che la classe politica era sottomessa agli interessi dell’oligarchia finanziaria, che riscattava le banche e le imprese e degradava le condizioni di vita delle maggioranze sociali.
Podemos non è un partito, è un movimento democratico con radici sociali profonde e una componente popolare che lo rende un fenomeno altamente specifico nel panorama politico europeo.
Ci sono molti Podemos, e la sua strutturazione programmatica, organizzativa e territoriale sarà difficile. I poteri lo sanno. Per questo per Podemos non c’è mai stata tregua. È stato combattuto più come nemico che come avversario, con un obiettivo chiaro: che non si consolidasse come progetto alternativo. Ogni conflitto interno è stato sovradimensionato e tramutato in crisi, con, al centro, uno scopo costante: demolire il segretario generale, Pablo Iglesias.
Il dibattito interno che si concluderà questo fine settimana ha a che vedere con una differenza analitica che diventa differenza strategica. Il settore di Errejon considera per conclusa la crisi di regime e considera vincente la restaurazione oligarchica del sistema. Ciò che si può fare è quindi limitarsi a negoziare coi vincitori provvedimenti favorevoli alle classi popolari e di rigenerazione del processo democratico. Si danno definitivamente per persi i diritti eliminati dalle politiche di austerità e si accettano i limiti imposti dai Trattati e dalla Commissione Europea.
Il settore di Iglesias considera che la crisi di regime è ancora aperta ed è fondamentale ampliarla, e che è imprescindibile disputare l’egemonia al tripartito dominante (Psoe, PP e Ciudadanos), avviando un processo costituente che garantisca i diritti sociali e la costruzione di uno stato federale.
Elemento di dibattito decisivo è la relazione con il Psoe, che vive una crisi molto grave. Per Errejon, bisognerebbe cooperare coi socialisti e, da questa posizione, contendere loro l’egemonia elettorale. Per Iglesias, Il Psoe è parte delle forze dominanti e in esso si incuneano e agiscono i poteri forti. Il modello di partito difeso da Iglesias riguarda da vicino l’orientamento strategico prima definito: si tratta di passare da un partito-macchina elettorale a un partito di massa solidamente innestato nel territorio, legato al conflitto sociale e ai movimenti, con capacità di proposta alternativa dal punto di vista delle classi subalterne.
Formalmente, nessuno mette in questione la leadership di Iglesias. Ma la questione di fondo è, organizzativamente, il tipo di direzione politica da costruire. A differenza di Errejon, Iglesias difende l’idea di una direzione coesa attorno all’idea di una politica di rottura democratica, che eviti le cristalizzazioni in frazioni organizzate e una divisione del potere interno per quote e famiglie politiche. Pluralità, rispetto delle minoranze, ma una direzione unica che garantisca unità d’azione.
Fonte: Il manifesto
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