di Stefano Fassina
A conclusione del vertice europeo di Malta, la cancelliera Merkel ha preannunciato che, il prossimo 25 marzo a Roma, i capi di Stato e di governo riuniti per celebrare il 60-esimo anniversario del Trattato di Roma, potrebbero impegnarsi in una dichiarazione per "un'Europa a più velocità". In sostanza, l'accelerazione dell'integrazione da parte di alcuni membri della Ue. Le dichiarazioni della Cancelliera sono state subito accolte con entusiasmo qui da noi, in particolare da importanti figure politiche e istituzionali del versante progressista.
Mi permetto, con rispetto e stima, di chiedere a Romano Prodi, Laura Boldrini ed Enrico Letta un supplemento di valutazione. Attenzione: l'euro-zona, quindi l'Ue, è sulla rotta del Titanic. Accelerare l'integrazione economica e politica senza una radicale correzione di rotta implica anticipare lo scontro con l'iceberg della sofferenza economica e sociale interpretato, in assenza di alternative, dalle destre isolazioniste e xenofobe.
Attenzione: l'ordine economico e sociale dell'euro-zona è insostenibile non a causa dei ritardi dei lavativi affacciati sul mar mediterraneo, ma per disegno originario. Oramai non dovrebbero esserci più dubbi: fino a pochissimi anni fa era soltanto un pugno di coraggiosi economisti eterodossi (da noi Bagnai, Giacchè, Barra Caracciolo, Cesaratto, Zezza, Baccaro, D'Antoni, Somma, Amoroso e, in extremis, Luciano Gallino per ricordarne alcuni) a segnalare i nodi strutturali dell'insostenibilità dell'ordine economico e monetario fondato sulla svalutazione del lavoro. Da almeno un paio d'anni, si sono dovuti convincere anche illustri accademici più o meno mainstream: dai premi Nobel Stiglitz e Krugman a Luigi Zingales.
La ragione dell'insostenibilità è piuttosto semplice: i Trattati, il Fiscal Compact e l'impianto di politica economica del paese leader dell'Unione monetaria sono retti dal mercantilismo ordiliberista. Vuol dire che si affida la crescita alle esportazioni. Ossia, si fa svalutazione interna, in particolare svalutazione del lavoro, come fatto dal governo Schroeder con le mitiche "Riforme Hartz", per accaparrarsi la domanda interna di qualcun altro.
Il mercantilismo ordoliberista ha funzionato finché è stato praticato solo alcuni membri del club monetario mentre gli altri, quasi esclusivamente privati, compravano a debito dagli esportatori. Ovviamente, il neo-liberismo in versione teutonica si inceppa, determina cronico deficit di domanda, quando si generalizza.
Collassa quando arriva Mr Trump che, per ridurre il debito esterno di Washington e "salvare" i suoi lavoratori, smette di fare il consumatore di ultima istanza e di puntellare l'euro-zona. Forse la lettura dell'ultimo saggio di Joseph Stiglitz, interamente dedicato alla moneta unica ("The euro: how a common currency threatens the future of Europe"), tra qualche settimana disponibile in italiano grazie a Einaudi, può aiutare a capire.
La drammatica realtà di fronte a noi oramai, ex post, dovrebbe essere chiara: nella Ue e nell'eurozona-zona si è realizzato in forma estrema, con la complicità orgogliosa della famiglia socialista e ulivista, il disegno liberista saltato, per la rivolta delle classi medie, nei suoi epicentri: nel Regno Unito con la Brexit e negli Usa con la vittoria di Trump.
Mercato unico e euro sono stati, nonostante i nobili propositi di tanti "bravi progressisti", fattori di aggravamento della globalizzazione. Quindi, errori. Colpe gravi agli occhi del vasto popolo delle periferie economiche, sociali e culturali. Non a caso, sulla mappa elettorale, i bravi progressisti sono ovunque barricati nei quartieri bene delle città.
Allora, acceleriamo lungo la rotta del Titanic come suggerisce la Merkel concentrata, in modo miope, esclusivamente sull'interesse nazionale tedesco? Attenzione: arrivare all'agognato ministro del Tesoro dell'euro-zona che opera nel quadro dei Trattati e del Fiscal Compact vuol dire consegnarsi al soffocamento economico e sociale e alla completa colonizzazione politica. Vuol dire continuare a contraddire i principi di fondo della nostra costituzione. Insomma, continuare a seguire la cancelliera Merkel vuol dire divaricare ancor di più i popoli europei e accelerare il naufragio.
In teoria, l'accelerazione proposta dalla Merkel, formalmente presentata dal Benelux, potrebbe essere rigidamente condizionata a una radicale svolta pro-labour dei Trattati e dell'impianto di politica macroeconomica del Paese leader. Ma è una prospettiva completamente astratta dalla realtà.
Davvero qualcuno ritiene che vi sia consenso di popolo nei paesi core dell'euro-zona per introdurre le correzioni minime per dare un po' di respiro al lavoro e alle classi medie? Davvero qualcuno ritiene che possa maturare in Germania un largo consenso per archiviare il radicato orientamento mercantilista, suo tratto storico e politico distintivo? Davvero qualcuno è convinto che sia possibile modificare lo statuto della Bce affinché anche l'istituto di Francoforte possa fare quanto fa la Federal Reserve o la Banca d'Inghilterra?
Davvero qualcuno ritiene possibile convincere i campioni dell'ordoliberismo a limitare i movimenti di capitali, merci e servizi per proteggere i lavoratori? Sarebbero soltanto alcuni degli aggiustamenti necessari. Ma sono impraticabili sul piano politico.
Allora, fronteggiamo da soli la Cina, gli Stati Uniti di Trump, le migrazioni abnormi, i cambiamenti climatici e le guerre? No, ovviamente. Qui sta la differenza tra destra e sinistra. Noi vogliamo salvare la Ue dall'euro e costruire una confederazione tra Stati nazionali ri-democratizzati e rivitalizzati attraverso la riconquista di leve di politica economica fondamentali.
Certo, non ritorniamo a Breton Woods. Certo, la disponibilità della moneta è condizione necessaria ma non sufficiente: una politica macroeconomica alternativa è un impianto coerente di policies, come ricordano Aldo Barba e Massimo Pivetti in "La scomparsa della Sinistra in Europa".
Data l'oggettiva impossibilità della svolta, rimangono soltanto due possibili strade. Da un lato, il "divorzio amichevole" della moneta unica per recuperare allo Stato nazionale strumenti vitali e cooperazioni rafforzate su alcune funzioni come difesa e sicurezza. Dall'altro, rassegnarsi all'euro e riconoscere, con amarezza e onestà intellettuale, che la sinistra, in tutte le sue declinazioni, è finita con il crollo del Muro di Berlino e che la prima parte della nostra Costituzione è un cimelio da onorare all'insegna del politicamente corretto.
Una parte della sinistra europea consapevole e non rassegnata si ritroverà a Roma, in Campidoglio, l'11-12 marzo, non per celebrare i Trattati firmati nella capitale nel 1957, ma per svolgere il quarto summit per il "Plan B": un progetto cooperativo per il superamento dell'euro.
Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore
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