di Anna Falcone
Non c’è più tempo. Non c’è più tempo per i tatticismi, per le liturgie della vecchia politica, per i congressi orfani di militanti e di idee, quelli fatti per contarsi (quelli che sono rimasti) o per vendicarsi degli oppositori e sistemare al meglio i fedelissimi. L’Italia e gli italiani sono già altrove. E la Sinistra, in questo altrove, ancora non c’è. Non c’è perché, nel logorante dibattito di questi ultimi giorni, emerge prepotentemente la miopia di chi, fattosi classe dirigente grazie alle ultime leggi elettorali dei ‘nominati’, è tutto proteso a garantirsi un posto al sole anche nella prossima legislatura, invece che a garantire un futuro al Paese.
E, invece, ciò che conta, ciò che conterà alle future elezioni non saranno le attuali proiezioni elettorali delle forze politiche in campo o di quelle che si potranno formare dalla scissione e riorganizzazione degli attuali partiti. Ciò che conta è l’idea di Paese che si proporrà agli italiani. Sfida non facile, visto che una sinistra con ambizioni di governo (e una sinistra che creda realmente ai suoi ideali non può non averne) deve fare i conti con una realtà che è profondamente mutata e le cui criticità non posso essere risolte con le tradizionali categorie di analisi del pensiero di sinistra. Poche cruciali domande chiedono immediate risposte, ad esempio: come affrontare la fine del lavoro, ovvero l’inevitabile avanzamento dei processi di automazione della produzione a scapito del lavoro individuale?
E, invece, ciò che conta, ciò che conterà alle future elezioni non saranno le attuali proiezioni elettorali delle forze politiche in campo o di quelle che si potranno formare dalla scissione e riorganizzazione degli attuali partiti. Ciò che conta è l’idea di Paese che si proporrà agli italiani. Sfida non facile, visto che una sinistra con ambizioni di governo (e una sinistra che creda realmente ai suoi ideali non può non averne) deve fare i conti con una realtà che è profondamente mutata e le cui criticità non posso essere risolte con le tradizionali categorie di analisi del pensiero di sinistra. Poche cruciali domande chiedono immediate risposte, ad esempio: come affrontare la fine del lavoro, ovvero l’inevitabile avanzamento dei processi di automazione della produzione a scapito del lavoro individuale?
Quale modello di sviluppo proporre per far convivere progresso e tutela delle risorse umane e naturali? Come risolvere il problema della sovrappopolazione, della tutela della salute su larga scala, dell’accesso alle tecnologie, alle informazioni e a una istruzione di qualità? Come garantire equità fiscale, sovranità monetaria e un modello di Europa solidale ed equilibrato fra gli Stati membri? Non ultimo, quali soluzioni per redistribuire i mezzi di produzione della ricchezza in un contesto globale in cui singole multinazionali superano – e spesso di molto – il PIL di tanti Paesi, mettendo in crisi il modello e l’esistenza stessa dello Stato sociale di diritto? Questi sono solo alcuni dei temi centrali a cui dare risposta immediata: i grandi assenti nel dibattito politico post-referendario.
Noi del “Comitato per il No” abbiamo dato una traccia: iniziamo dall’attuazione della Costituzione. Sarebbe un primo, cruciale punto di partenza, e pure non basterebbe, perché i problemi delle società post-moderne superano le previsioni storicamente condizionate della nostra Carta e ci pongono davanti a interrogativi ulteriori, dove, ad esempio, il reddito di cittadinanza rischia di essere un palliativo, e la riduzione a 6 ore della giornata lavorativa potrebbe non bastare a garantire la dignità delle persone e le pari opportunità fra i cittadini: figurarsi l’uguaglianza! Ma allora – ed è questa forse la vera domanda – cosa osta a raccogliere intorno a un tavolo le migliori teste, i nostri ricercatori più bravi (quelli che dovremmo riportare in paria al posto di quale ministro inutile e ridondante), gli attori sociali e i protagonisti delle best practices, in Italia e all’estero, nel mondo dell’associazionismo, della cultura ecc., per delineare un progetto di sviluppo del Paese in cui diritti, solidarietà e sviluppo equo e sostenibile vadano finalmente d’accordo con la parola “modernità”? Perché se una lezione è arrivata dal voto del 4 dicembre è che un’altra Italia, più giusta, più solidale, più meritocratica, più democratica, è possibile, ma occorre mobilitarsi tutti, in una grande operazione di democrazia propositiva e partecipativa, non restare a guardare le auspicabili scissioni e riunificazioni di sigle ormai logore agli occhi dei più. L’unità in un nuovo soggetto della Sinistra riformista, profondamente innovativa e all’altezza dei tempi e delle persone parte dai temi e dalle idee. Liberiamole e misuriamoci su queste! Perché le liste unitarie e le alleanze di una stagione non funzionano e non bastano più. A nessuno. Pensiamoci. Perché questa rischia di essere l’ultima occasione per ciò che resta degli attuali partiti. O i cittadini si organizzeranno da soli in un nuovo inizio politico, più coerente e funzionale alla realizzazione di quegli ideali che i vecchi partiti non rispecchiano più.
Fonte: Left
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