di Alfonso Gianni
Che la Ue possa implodere e con essa la sua moneta era ed è una consapevolezza che si sta facendo strada persino nei templi del pensiero mainstream e tra le elites europee. Specialmente dopo la Brexit e il possibile asse Trump-May. Il guaio è che il morto rischia di afferrare il vivo. Così le terapie che vengono avanzate appaiono peggiori della malattia, mancando una diagnosi corretta. Non solo si vuole un ennesimo giro di vite nei confronti della Grecia ed entrano nel mirino dei contabili di Bruxelles il Portogallo e l’Italia. Ma in vista dell’incontro, che si profila non solo celebrativo, del 25 marzo, in occasione del 60° dei trattati di Roma, tiene banco la trovata dell’Europa a due velocità.
L’ha rilanciata Merkel, trovando il plauso di Gentiloni, ma soprattutto il placet entusiasta di Prodi. Il quale ha scoperto che l’America di Trump si comporta come un «cugino dispettoso» nei confronti dell’Europa e che quindi bisogna reagire.
L’ha rilanciata Merkel, trovando il plauso di Gentiloni, ma soprattutto il placet entusiasta di Prodi. Il quale ha scoperto che l’America di Trump si comporta come un «cugino dispettoso» nei confronti dell’Europa e che quindi bisogna reagire.
Solo che lo si vuole fare nella direzione sbagliata. I nazionalismi e i populismi dall’alto, d’oltreoceano o europei, Trump come Le Pen, vengono agitati sia per motivi interni ai singoli paesi che vanno incontro a elezioni, fra cui la Germania, sia per allargare il metodo Schaeuble, proposto a suo tempo alla Grecia, nei confronti di un arco di paesi più ampio. Ne risulterebbe un’Europa a due velocità, o due gironi, nella quale il nucleo forte sarebbe naturalmente a dominanza tedesca, magari con un ministro delle finanze unico, in grado di tenere ancor meglio sotto controllo i bilanci altrui in un quadro istituzionale del tutto a-democratico. Attorno si distribuirebbe una corona di paesi più deboli, con l’onere di fare da filtro e da assorbimento dei processi migratori. Il tema centrale al vertice di Malta.
Si può e si deve osservare che già questa è la tendenza reale. Ce lo dicono i dati economici con la potenza germanica incurante delle regole: il suo surplus non dovrebbe superare il 6%, mentre veleggia di più di due punti e mezzo al di sopra. Ce lo ricorda il fatto che proprio quest’anno il famigerato fiscal compact dovrebbe entrare nel diritto europeo di primo livello, come i trattati istitutivi dell’Unione. Ma la codificazione di questa realtà costituirebbe una potente accelerazione verso l’implosione e la disgregazione dell’Europa. Anche perché è ben poco chiaro quali siano le effettive condizioni che dovrebbero regolare i due diversi livelli di integrazione sotto il profilo economico e delle sorti debito pubblico dei singoli paesi.
Diversi i toni usati da Draghi che ieri ha ammonito chi vuole andarsene di regolare prima i propri conti con la Bce, cosa devastante per chi ha i debiti pubblici più elevati. Poi ha orgogliosamente difeso la funzione della moneta unica, attribuendole addirittura ruoli taumaturgici nei confronti della crisi economica, per ribadire che la Bce è pronta ad aumentare “in termini di mole e durata” il programma di acquisti di titoli, cioè il quantitative easing. Ma pensare di battere i nazionalismi rilanciando le virtù del liberoscambismo, del quale approfitta solo il neomercantilismo tedesco, appare del pari suicida.
Non è questa la risposta, come però non lo è neppure l’illusione, coltivata anche a sinistra, che il ritorno alle sovranità nazionali e alle monete di un tempo aiuti la lotta alle diseguaglianze e per un diverso sviluppo. Spaccare in due l’Europa non è l’uovo di Colombo ma la china che porta alla negazione di ogni progetto europeo. La indispensabile lotta contro il liberismo dei trattati, quelli originari e quelli che hanno costruito la governance europea in questi ultimi anni di crisi, non può che coinvolgere e svolgersi nell’Europa nel suo complesso, con un ruolo crescente proprio dei paesi che si vorrebbero collocare nel secondo girone, come già la crescita di movimenti politici e sociali, alcuni assurti a esperienze di governo, hanno dimostrato di sapere fare. Un’Europa dimidiata sarebbe un interlocutore ancora meno credibile, in uno scenario internazionale ove le spinte belliche con Trump sono destinate a moltiplicarsi e ad aggravarsi.
Fonte: il manifesto
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