di Loredana Fraleone
L’appello dei 600 docenti universitari, sul problema della perdita delle capacità linguistiche degli studenti, riguarda un problema vero, che non viene però affrontato come si dovrebbe a partire dalle cause. Indubbiamente ha il merito di accendere finalmente un faro su una situazione largamente prevista da chi, in questi anni, ha combattuto contro le innumerevoli misure, che hanno tolto progressivamente alla scuola strumenti indispensabili per una formazione di qualità. Troppo facile registrare una situazione di deprivazione culturale a valle, che nella fattispecie riguarda il corretto uso della lingua italiana e la comprensione di un testo di media difficoltà, senza denunciare le politiche scolastiche degli ultimi decenni.
Queste sono state dirette non solo a tagliare risorse materiali e umane, ma a ridurre il tempo scuola nelle discipline formative proprio sulle capacità linguistiche e di comprensione logica, a vanificare tempo pieno e tempo prolungato, a svilire un esame di maturità, che sembra non trovare pace e diventare, con l’ultimo provvedimento del decreto delegato dalla legge 107, detta “Buona scuola”, un proforma accessibile con la media del 6.
La deriva aziendalistica, con la sottrazione di ore all’apprendimento, per introdurre l’alternanza “scuola lavoro”, uno dei gioielli della 107, favorisce una formazione libera e critica o la piega ai paradigmi dell’impresa?
Non parliamo poi del modello culturale dominante, che spinge sempre più a una formazione “mordi e fuggi”, favorendo un atteggiamento di svalutazione nei confronti della scuola e della cultura; i mezzi di comunicazione di massa con in testa le televisioni commerciali, sempre più imitate dalle reti pubbliche, incentivano varie forme di passivizzazione, le dipendenze come le ludopatie, la furbizia, anche a scapito di altri, come strumento di emancipazione individuale.
A tutto questo ha cercato di rispondere un grande e generoso movimento di insegnanti, che ha lottato fin dai tempi della Moratti contro l’impoverimento materiale e culturale della scuola, prevedendone le conseguenze, che in parte vengono oggi denunciate dall’appello dei 600 docenti universitari.
Quel movimento, che è stato sconfitto e che tenta persino di resistere nella sconfitta, è stato lasciato solo, a partire da chi avrebbe dovuto occuparsene per mestiere: il mondo accademico.
Sono disposti i 600 firmatari a ragionare sulle cause della situazione che denunciano, a mettere in discussione le politiche scolastiche di tutti i governi degli ultimi venti anni e magari a sostenere la resistenza di chi nelle scuole continua a praticarla?
Fonte: Rifondazione.it
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