Intervista a CJ Polychroniou di Marcus Rolle e Alexandra Boutri
La Brexit, l’ascesa di Donald Trump e la comparsa di un nuovo estremismo di destra sia in Europa che negli Stati Uniti significano sviluppi fondamentali nel panorama politico ed ideologico delle società occidentali, mentre, contemporaneamente, c’è una ripresa di nazionalismo estremo e di politica autoritaria praticamente in tutto il mondo. Per una conoscenza e spiegazione di alcuni di questi sviluppi inquietanti e delle alternative disponibili, abbiamo parlato con all’esperto di economia politica CJ Polychroniou, curatore di un libro in via di pubblicazione, intitolato Optimism Over.
Il panorama politico attuale in molte società capitaliste avanzate, è caratterizzato dall’ascesa di un nuovo populismo di destra incentrato sul sentimento anti-immigrati, sulla xenofobia e sul nazionalismo estremo, alimentato principalmente dalla retorica antiglobalizzazione dei leader politici autoritari. Ci piacerebbe cominciare chiedendovi di contestualizzare le contraddizioni del capitalismo globale e la comparsa di quello che è diventato noto come “destra alternativa.”
Già da un bel po’ di tempo, ci sono state delle indicazioni chiare e forti nell’intero spettro politico e socio-economico nelle società occidentali avanzate che le contraddizioni della globalizzazione capitalista e le politiche ad esse associate
hanno raggiunto un livello esplosivo, dato che hanno scatenato potenti forze con la capacità di produrre conseguenze estremamente distruttive non soltanto per la crescita, l’uguaglianza e la prosperità, la giustizia e la pace sociale, ma conseguenze
concomitanti per la democrazia, i diritti universali e l’ambiente stesso. In effetti, non molto tempo dopo il crollo dell’Unione Sovietica e dei suoi “satelliti” comunisti nell’Europa dell’Est – uno sviluppo che ha provocato un tale entusiasmo sfrenato tra i sostenitori del capitalismo globale neoliberale, che questi hanno intrapreso un corso audace ma molto sospetto di (pseudo) teorizzazione intellettuale per pronunciare la “fine della storia” – è diventato alquanto ovvio per gli osservatori astuti che le forze scatenate dal dinamismo interno del capitalismo e dagli stati capitalisti dominanti con lo stato imperiale degli Stati Uniti al timone, erano più in armonia con le brutalità della regressione della società, lo sfruttamento economico, la guerra e la violenza che con le sottigliezze del progresso socio economico, della stabilità geopolitica e della sostenibilità dell’ambiente.
Certamente ora viviamo in un mondo di disuguaglianza economica senza pari, unita a una massiccia insicurezza economica e a livelli pericolosamente alti di disoccupazione (specialmente tra i giovani), il tutto mentre l’esaurimento delle risorse naturali ha raggiunto tassi molto allarmanti e il cambiamento del clima minaccia il futuro della civiltà così come la conosciamo. Tutti questi sviluppi sono interconnessi dato che sono alimentati dalle incombenti contraddizioni della globalizzazione, ma in sostanza sostenute da reali politiche di governo e da misure che soddisfano quasi esclusivamente le necessità dei ricchi e gli interessi del mondo delle grosse aziende e di quello finanziario. Nel frattempo, l’autoritarismo sta ristabilendo un punto di appoggio in molte nazioni occidentali proprio perché lo stato sociale sta venendo ridotto all’osso con il pretesto della disciplina fiscale.
Tuttavia, malgrado i risultati elettorali che mostrano un crescente appoggio al socialismo negli Stati Uniti, specialmente tra i giovani nati tra il 1980 e il 2000, il crescente scontento per l’attuale ordine economico finora ha avuto come conseguenza non una nuova era socialista, ma l’ascesa di leader ultranazionalisti come Donald Trump che usano una retorica avvolta nel razzismo e in un sentimento contrario all’immigrazione.
In Francia, Marine Le Pen sta giocando su analoghe forme di xenofobia e di ultranazionalismo, sostenendo che la “divisione non è più tra sinistra e destra…ma tra patrioti e coloro che credono nella globalizzazione.”
Quelle che viene chiamata “destra alternativa” in alcuni modi è nuovo fenomeno nel senso che, a differenza dei conservatori e dei neo-conservatori, l’estremismo della nuova destra appartiene dichiaratamente al campo della “antiglobalizzazione”. Però
La lagnanza della “destra alternativa” non è per il capitalismo stesso. I suoi aderenti, invece, danno la colpa delle loro sofferenze alla globalizzazione economica e all’immigrazione. Il rafforzamento di questo movimento di destra contrario alla globalizzazione era dietro alla Brexit e alla vittoria presidenziale di Trump, e può spiegare il ritorno di leader politici xenofobi in paesi come la Francia, l’Austria, l’Ungheria, l’Italia e la Germania, per nominarne soltanto alcune.
In un certo modo, quindi, l’improvvisa ascesa del nuovo radicalismo della destra è dovuta al fatto che questo ha adottato parte della posizione di “antiglobalizzazione” della sinistra e un bel po’ del discorso politico radicale della vecchia sinistra, come la lotta del “popolo contro le élite”. In alcuni casi, i leader dell’estrema sinistra in Europa, come Marine Le Pen in Francia, promettono di rafforzare lo stato sociale, di imporre controlli al capitale per evitare la speculazione, di nazionalizzare le banche e di fornire opportunità di impiego mantenendo la produzione in patria. La visione economica di Marine Le Pen per la Francia cerca di opporsi alla “globalizzazione non regolata”, ed è basata su una particolare versione di capitalismo statale fuori moda, che la globalizzazione sembra aver reso obsoleto.
Anche la formazione di uno “stato illiberale” fa parte della visione di “destra alternativa” per il futuro della società occidentale?
Il termine “stato illiberale” è associato all’ideologia e alle politiche di Viktor Orbán in Ungheria. Fin da quando è arrivato al potere, Orbán ha operato su una piattaforma politica che unisce il populismo sociale e nazionalista a una retorica anti-europea. Ha
violato la libertà della stampa, ha sottratto spazio al sistema giudiziario e difende apertamente una democrazia “illiberale” come mezzo per contrastare l’impatto della globalizzazione. Più di recente, ha cercato di chiudere l’Università Centrale Europea che è stata fondata da George Soros nel 1991 come parte di un progetto miliardario, “Open Society” (Società aperta).
La misura in cui l’ascesa dei leader della “destra alternativa” nell’Europa occidentale può portare a conseguenze analoghe, come nel caso di Viktor Orbán in Ungheria, è un’affermazione traballante. I paesi dell’Europa dell’Est non hanno il sistema di pesi e contrappesi delle democrazie costituite. Inoltre, milioni di Ungheresi non accettano le tendenze autoritarie di Orbán e gli si oppongono a ogni passo, come milioni di Turchi si sono opposti alla richiesta di Erdoğan di garantirgli ampi poteri per mezzo di un referendum molto controverso (il 51,4% ha votato per lui, rendendo ufficialmente Erdoğan il nuovo sultano della Turchia). Analogamente, Donald Trump potrebbe essere un autocrate, ma non può soltanto maltrattare l’intero paese. La tendenza a chiamare fascista Trump (anche se ha tendenze autoritarie) e a definire gli Stati Uniti uno stato totalitario, fa un cattivo servizio all’analisi politica e, per estensione, alla nostra capacità di immaginare alternative realistiche e sostenibili.
Nei comuni resoconti sulla globalizzazione, l’impressione che si ha spesso è che questo sia un nuovo fenomeno e che è semplicemente irreversibile. Quale è la sua opinione sulla globalizzazione?
Di per sé la globalizzazione non è un fenomeno nuovo nella storia. La conquista di Alessandro Magno e la diffusione della civiltà ellenica in Europa e in Asia è stato la prima grande azione verso la creazione di un mondo cosmopolita e globalizzato. E, per la cronaca, Alessandro ha cercato realmente il “matrimonio” tra culture diverse e ha espresso disprezzo verso alcuni dei suoi generali per aver mancato di dimostrare il rispetto appropriato per delle civiltà più antiche della Grecia.
Certamente, come molti studiosi hanno dimostrato, la storia del mondo è praticamente una storia di espansione imperiale. La maggior parte delle persone in tutta la storia documentata, viveva in imperi. Inoltre cosa ugualmente importante, ci sono state diverse visioni dell’Impero. L’Impero Romano, l’Impero Ottomano, l’Impero Britannico e l’Impero Francese hanno modellato il mondo in maniere fondamentalmente differenti.
Cionondimeno, con l’avvento del capitalismo, in un certo momento del cosiddetto
“lungo 15° secolo”, la natura dell’espansione, attraverso gli scambi commerciali e il commercio accompagnato dalla spada, segue una traiettoria diversa. Il capitalismo di diffonde in tutti gli angoli del mondo e produce un accumulo di ricchezza per le potenze europee e un graduale impoverimento dei paesi e delle regini colonizzate, semplicemente per pura necessità. Il capitalismo, in quanto tale, si distingue molto da tutti i precedenti sistemi socio-economici in questo: il sistema si deve espandere per sopravvivere. Alessandro prese la decisione di espandere la cultura ellenica alle estremità più remote dell’Asia. I capitalisti devono espandersi, altrimenti sono esposti alla probabile estinzione. In breve, per sua natura il capitalismo è un sistema socioeconomico espansionistico in cui l’accumulo di capitale è una delle leggi elementari ma fondamentali del moto.
Nei tempi moderni, e prima della nostra età, abbiamo visto una grande ondata di globalizzazione capitalista avvenuta intorno al 1880 e che è durata fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. L’economia mondiale era aperta come è oggi e forse anche di più, e il movimento di capitale attraverso i confini nazionali era un’attività così estesa che un’appassionata opposizione agli investimenti stranieri diretti si era sviluppata negli Stati Uniti nel 1890.
Dopo la Prima guerra mondiale ci furono tiepidi tentativi di ritornare all’era precedente di internazionalizzazione, ma il clima politico di quel tempo dimostrò di essere un importante ostacolo e, alla fine, lo scoppio della II Guerra mondiale pose fine a tutte le aspirazioni per la ripristino di un nuovo ordine capitalista internazionale.
La fase più recente della globalizzazione capitalista inizia in qualche momento tra la metà e la fine degli anni ’70 e arriva in seguito al crollo della struttura postbellica dell’accumulo del capitale. In seguito alla II Guerra mondiale, il capitalismo occidentale sperimentò una fase di crescita senza precedenti e di sviluppo: i ranghi della classe media esplosero, i diritti del lavoro si solidificarono (compresa la rappresentanza dei lavoratori nei consigli di amministrazione delle società) e le indennità per i lavoratori sono state molto estese, e tutto mentre lo “stato sociale” diventava un importante pilastro del mondo capitalista occidentale nel dopoguerra.
Però la struttura sociale del dopoguerra crollò quando il capitalismo entrò in una crisi del sistema agli inizi degli anni ’70, che si manifestò con la stagflazione *, una crisi del petrolio e la comparsa di nuove tecnologie che resero obsoleta la produzione Fordista.
Ecco a voi il neoliberalismo. Nel tentativo di superare la crisi di accumulo, le maggiori organizzazioni internazionali, come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e, naturalmente, il Tesoro degli Stati Uniti cominciarono a promuovere in tutto il mondo la triade neoliberale di liberalizzazione, privatizzazione e deregolamentazione. Queste politiche sono state accompagnate da tagli al bilancio per i programmi sociali e da generosi sgravi fiscali per le grosse aziende e per i ricchi. In questo contesto, la globalizzazione diventa un veicolo per lo sviluppo della strategia per realizzare super-profitti.
Come molte persone della sinistra, certi potenti segmenti dell’estrema destra, come la leader del Fronte Nazionale pensano che la globalizzazione sia reversibile. E’ così?
Se Marine Le Pen vincerà le imminenti (in parte già avvenute, n.d.t.) elezioni presidenziali francesi (del 23 aprile e del 7 maggio) e va avanti con il suo obiettivo di fare uscire la Francia dell’UE e ritornare al franco, il progetto di integrazione europeo e quindi un’importante componente della globalizzazione – potrebbe crollare come un castello di carte, specialmente perché la febbre anti-euro si sta diffondendo anche in Italia e una Frexit [uscita della Francia dall’Unione Europea) certamente avrà effetti immediati tra tutti gli Europei che sono ora scettici riguardo al progetto di integrazione nel loro continente. Andrebbe, tuttavia notato, che lo scenario della Frexit non è facile come quello per la Brexit. Richiederebbe un cambiamento costituzionale, e questo è molto improbabile che cambi. Però, certo, la globalizzazione è certamente reversibile, anche se richiederà semplicemente eventi catastrofici nei maggiori centri di potere del mondo. Detto questo, non è chiaro se sia auspicabile un ritorno al vecchio stato nazione. Una politica di autarchia è impossibile nel mondo di oggi e non penso che nessuno che sia sano di mente sostenga un progetto di questo genere. I socialisti e i radicali devono inventarsi una nuova versione di un’economia globalizzata.
Parlando delle imminenti elezioni francesi, sembra che ci sia una nuova svolta con lo slancio ottenuto dal candidato di estrema sinistra, Jean-Luc Mélenchon. E’ tornata la sinistra radicale francese?
Questa è una delle elezioni più interessanti e incerte nella storia della Quinta Repubblica francese. Ci si aspetta che nessuno dei candidati del tradizionale partito di centro-destra o di centro-sinistra arrivino al secondo turno. Questa è ancora un’altra prova della natura in via di cambiamento del panorama politico ed ideologico nelle attuali società occidentali. Marine Le Pen riuscirà ad arrivare al secondo turno, e l’unico problema è chi sarà il suo avversario. Entrando nell’ultimo tratto, sembra che il divario che separa i principali contendenti per il secondo turno, si stia chiudendo, e che Jean Luc Mélenchon abbia una possibilità reale (anche se le previsioni sono contrarie a lui) di arrivare al secondo turno. Se accade, si avrebbe un candidato dell’estrema destra e uno dell’estrema sinistra che competono per la presidenza francese.
Come Marine Le Pen, Mélenchon è contro l’UE, ma promette anche di far uscire la Francia dalla NATO. E sostiene un’agenda economica molto più radicale di quella di Marine Le Pen, che comprende salari più alti e un’aliquota fiscale del 90% per le persone molto ricche. Inoltre, e questo va al nocciolo della vostra domanda, i suoi sostenitori sembra che provengano dall’intero spettro politico francese. Di recente questo sviluppo è stato aiutato dalla chiara retorica nazionalista di Mélenchon e dalla sua promessa di reprimere severamente “l’immigrazione illegale.” Non per caso la bandiera francese prevale sulla bandiera rossa rivoluzionaria nelle recenti manifestazioni organizzate dal partito di Mélenchon. Questo fatto deve essere considerato come un’indicazione che le preoccupazioni riguardo alle contraddizioni della politicizzazione, incrociano le tradizionali linee di partito e che la nuova competizione politica si svolge tra coloro che sono a favore della globalizzazione e coloro che sono contrari.
Questo significa che ora c’è maggiore speranza per l’opposizione al capitalismo globale?
Forse. Potremmo raggiungere un punto in cui i termini tradizionali “sinistra e destra”, non hanno più molta applicabilità nel mondo attuale, a meno per quanto riguarda la reazione di un segmento crescente della popolazione riguardo all’impatto del capitalismo neoliberale sulle loro vite e le loro comunità.
Ma qualunque cosa possa andare avanti in termini di affiliazioni politiche della gente, la speranza è tutto quello che abbiamo.
La disperazione, come continua a dire Noam Chomsky, non è un’opzione, indipendentemente da quanto orribilmente deprimente sembri l’attuale situazione del mondo, dato che la resistenza contro l’oppressione e lo sfruttamento non è mai stato un impegno infruttuoso anche in tempi più preoccupanti dei nostri. Infatti la” contro-rivoluzione” di Trump negli Stati Uniti ha già portato alla superficie una pletora di forze sociali decise a scendere in campo contro l’aspirante autocrate, e di fatto, il futuro dell’opposizione nel paese più potente del mondo appare più promettente che in molte altre parti del mondo industrializzato progredito. Naturalmente, il problema degli Stati Uniti è che è perpetuamente abituato a fare “un passo avanti e tre passi indietro.” Questo, però, non significa che dovremmo perdere la speranza, ma soltanto lavorare più duramente per creare potenti forze organizzative che possano fare maggiore resistenza ai capitalisti rapaci e ai guerrafondai, e allo stesso tempo enunciare costantemente una visione coerente e realistica di cambiamento radicale.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Originale: Truthout
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0
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