La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 28 febbraio 2016

Pensare e fare urbanistica, oggi

di Gabriele Pasqui
"È davvero contemporaneo chi non coincide perfettamente col suo tempo né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più degli altri di percepire e afferrare il suo tempo". Con queste parole Giorgio Agamben definisce la natura sorprendente del contemporaneo: abitare l'oggi scartando dal suo tempo, proponendo una strana non coincidenza anacronistica che è innanzitutto sospetto e sospensione delle sue "pretese".
In questo senso, il libro di Arturo Lanzani Città territorio urbanistica tra crisi e contrazione (Franco Angeli, 2015) è un libro contemporaneo.
Ha infatti i piedi ben piantati dentro una lettura dei processi che caratterizzano lo stato e le prospettive dei territori e dei paesaggi della città europea, e al tempo stesso propone uno scarto anacronistico, che spinge all'indietro, verso una concezione per molti aspetti classica dell'urbanistica, e in avanti, verso una ipotesi di urbanistica "altra" e francamente inattuale.
Il testo di Lanzani, che pure presenta una struttura per tanti aspetti "occasionale" (una densa premessa; un lungo saggio sull'esigenza disattesa di una politica nazionale delle città e del territorio; un contributo corposo sulle pratiche operative dell'urbanistica a ridosso di due esperienze di pianificazione condotte dall'Autore nella sua Brianza; una breve appendice critica sulla proposta di legge Lupi su casa e urbanistica, oggi accantonata) affronta alcuni temi "classici" della letteratura urbanistica. 
Da una parte, si propone di collocare ruolo e senso dell'attività urbanistica dentro una lettura di lungo periodo del modello di sviluppo territoriale italiano ed europeo, prendendo le mosse da quella che l'Autore definisce una "grande trasformazione", nella quale si intrecciano crisi ambientale, arresto dell'urbanizzazione e segni di crisi della regolazione neoliberale. Dentro questa grande trasformazione, l'urbanistica è chiamata da una parte a ridefinire la propria agenda, lavorando in un contesto del tutto diverso rispetto al passato; dall'altra a ripensare i propri strumenti operativi, dentro e fuori dai piani che rappresentano comunque un dispositivo essenziale per l'urbanista.
Dall'altra parte, prova a disegnare una nuova agenda politica per le città, i territori e i paesaggi, attraverso una operazione concettuale che è innanzitutto di ri-nominazione dei problemi. Ecco allora, nel primo capitolo, l'articolazione di una agenda di temi che si concentra sulla dimensione istituzionale dell'azione urbanistica (la proposta di un "nuovo comune" che superi i vecchi municipi; la necessità di contenere il rischio della dispersione municipale); sull'identificazione di alcune politiche settoriali decisive per l'agire urbanistico (una politica delle infrastrutture che sposta le risorse dalle grandi opere ad un piano per il capitale fisso sociale esistente; una politica della casa basata sulla tassazione selettiva degli immobili); sulla definizione di nuovi dispositivi di governo delle trasformazioni urbane (ricomposizione dell'urbanizzato attraverso rilocalizzazioni volumetriche, riuso e riciclo, progetto di suolo, manutenzione degli spazi del welfare).
Ipotesi di riassetto istituzionale, politiche settoriali e strumenti di governo del territorio si collocano su uno sfondo unitario, che mi sembra possa essere riconosciuto all'intersezione tra una concezione non settoriale del paesaggio come grande questione nazionale (tema già affrontato da Lanzani in molti e importanti contributi precedenti) e una assunzione radicale della crisi ambientale come tema centrale per qualsiasi agenda urbana e territoriale.
Questo quadro di temi e prospettive non è solo evocato: è affrontato con riferimento a specifiche proposte, che assumono di volta in volta una dimensione strettamente tecnica e una valenza intrinsecamente politica. Nelle riflessioni ai margini dei due piani (Monza e Desio) Lanzani misura la capacità degli strumenti urbanistici ordinari (a partire dalle norme e dai progetti di piano) di corrispondere a un quadro in larga parte mutato, nel quale siamo chiamati a fare urbanistica "dopo la crescita", operando con risorse pubbliche scarse e in un contesto di indebolimento della sfera pubblica.
Non posso in questa sede soffermarmi sulle specifiche proposte messe in campo dall'Autore: rimando alla lettura del volume per il necessario approfondimento. Osservo solo che il testo ripropone per molti aspetti una concezione "forte" dell'urbanistica, come sapere pratico che si misura con le cose (più volte Lanzani invoca nuove forme di "radicamento" e una nuova attenzione ai corpi e alla materialità degli uomini e più in generale del vivente) ma anche con l'economia e la società, assumendo la complessità e la pluralità dell'organizzazione sociale come un elemento imprescindibile.
Un sapere che ha forti radici tecniche e che nella tecnica trova la propria legittimazione, ma che al tempo stesso non rifiuta di misurarsi con le culture politiche e con gli strumenti legislativi, fino ad invocare politiche nazionali coerenti dentro una prospettiva di critica radicale della regolazione neoliberale ed anche delle esperienze concrete dell'urbanistica italiana nell'ultimo mezzo secolo. D'altra parte, l'urbanistica di Lanzani si propone esplicitamente di stare "con i piedi nella tradizione e con lo sguardo al futuro", camminando nei territori e osservandone i paesaggi, costruendo visioni culturalmente fondate e insieme sperimentando concretamente forme d'azione.
Non è questo il luogo per un discussione critica: osservo solo, dalla mia prospettiva, che la condivisione di molti degli argomenti di Lanzani si accompagna a una certa prudenza nei confronti della "stimmung" di alcune parti del testo, del riflesso "antiurbano" che traspare in alcuni passaggi. Su questo la discussione con l'Autore deve continuare e proprio per questo vorrei chiudere con una frase contenuta nel volume che mi sento di condividere pienamente: "…con qualche argomento non del tutto irrilevante, si possono sostenere le ragioni di una politica attiva della città, del territorio e del paesaggio, di una urbanistica profondamente mutata. A patto tuttavia di non guardare al passato, ad una idea di pianificazione oggi improponibile […] Insomma, a patto di non rimuovere il reale con i suoi limiti - queste urbanizzazioni, questo paesaggio - allorquando si voglia cambiare, e con radicalità, questa stessa realtà".

Fonte: casadellacultura.it

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