di Giansandro Merli
Con 152 voti favorevoli e 141 contrari, martedì 27 settembre il Parlamento greco ha approvato l'ennesimo taglio delle pensioni e il trasferimento di tutte le proprietà pubbliche al «superfondo» voluto dai creditori. In cambio, Tsipras porta a casa una nuova tranche di prestiti da 2.8 miliardi di euro (sugli 86 complessivi previsti dall'accordo di luglio 2015). Le nuove misure di austerità arrivano dopo le minacce dell'Unione Europea di bloccare l'erogazione del denaro, data la lentezza del governo ellenico a ratificare le riforme concordate.
Quello votato da Syriza è probabilmente il più grande piano di privatizzazioni messo in campo in Europa dopo la riunificazione tedesca. Come previsto dal Terzo Memorandum, i beni dello Stato vengono trasferiti all'Hellenic Company of Assets and Participations (HCAP), il superfondo incaricato di ricavare liquidità a breve termine facendo fruttare il patrimonio pubblico oppure vendendolo. Lo strumento finanziario coinvolge tutti i principali settori strategici dell'economia: infrastrutture, trasporti, energia, telecomunicazioni, sviluppo immobiliare. Ricade sotto la gestione di cinque tecnici: tre nominati dal governo e approvati dall'ESM (European Stability Mechanism), due nominati dall'ESM e approvati dal governo. Ha una durata di 99 anni: quello precedente, creato con lo stesso scopo nel 2011, era valido per sei.
L'elenco che compone l'HCAP è lungo. Quattordici aeroporti regionali sono già stati affidati per quarantanni e a prezzi irrisori a un consorzio di cui, tra gli altri, fa parte Lufthansa. La compagnia ferroviaria Trainose è stata acquistata da Trenitalia, il porto del Pireo dai cinesi del gruppo COSCO. Su quello di Salonicco pare abbiano puntato gli occhi alcuni investitori russi. Ad Atene, l'ex aeroporto Hellenikon, teatro di una grande e lunga resistenza ai piani speculativi, è stato ceduto per 99 anni alla Lambda Development, che costruirà una città privata inondando di cemento un'area di oltre tre milioni di metri quadrati a due passi dal mare. Nella lista delle svendite sono presenti anche diverse autostrade, l'aeroporto della capitale, le poste, le aziende pubbliche di luce, gas e petrolio. E poi EYDAP ed EYATH, le compagnie che gestiscono l'acqua ad Atene e Salonicco.
Il Ministro dell'Energia, Panos Skourletis, e quello dell'Economia, Euclid Tsakalatos, hanno dichiarato che il trasferimento del patrimonio dello Stato all'interno del superfondo non equivale a privatizzarlo. Ma ormai sono rimasti in pochi a credere alla buona fede di Syriza e a seguire le continue torsioni retoriche del governo. «Venderanno anche l'Acropoli», gridavano martedì scorso i lavoratori di EYDAP durante una (moscia) protesta in piazza Syntagma. «Il governo ha mentito troppe volte, non merita nessuna fiducia.» - afferma George Theodoridis, membro dei Water Warriors di Salonicco - «Le compagnie dell'acqua devono essere vendute. È scritto nel Terzo Memorandum e nelle linee guida del rapporto tra la Grecia e la Troika. Tra l'altro, sono aziende in ottima salute, che forniscono un servizio di qualità e hanno un bilancio in attivo».
È a Salonicco che bisogna andare per comprendere fino in fondo il prezzo della vendita dell'acqua. Già negli anni scorsi qualcuno avrebbe voluto collegare i rubinetti dei greci con i portafogli di qualche compagnia privata. La seconda città greca aveva guidato la resistenza contro il progetto, mettendo in campo proteste e proposte (su tutte l'iniziativa “136”, che sostiene la gestione sociale del servizio attraverso cooperative a livello municipale). Durante la mobilitazione di lavoratori e cittadini si è tenuto anche un referendum. Nel giorno delle elezioni locali del 18 maggio 2014, i comitati per l'acqua pubblica si sono presentati ai seggi con schede e urne. Nonostante le istituzioni avessero negato il riconoscimento ufficiale alla consultazione, oltre il 60% degli elettori di Salonicco ha partecipato al referendum auto-organizzato, votando compattamente NO alla privatizzazione (il 98% dei 228.000 votanti). Poche settimane dopo, lo stop definitivo è arrivato dal Consiglio di Stato, con la sentenza 1906/2014. Il tribunale, richiamandosi agli articoli della Costituzione greca numero 5 (diritto alla salute) e 21 (dovere dello Stato di prendersi cura dei cittadini), ha stabilito che privatizzare l'acqua è in contrasto con la legge fondamentale del paese.
«Syriza ha partecipato a quella campagna e ne ha tratto grandi benefici in termini elettorali», ricorda un attivista. Ma non era la stessa Syriza di oggi. E comunque la questione non è di volontà politica. Il governo ha accettato di vendere i due principali gestori idrici (e tutto il resto) già un anno fa, firmando il memorandum e poi decidendo di applicarlo. Si tratta di una delle condizioni umilianti imposte alla Grecia dall'Europa tedesca: proprio mentre la stessa Germania vive un'ondata di ri-pubblicizzazioni del servizio. Nove città della Repubblica Federale, con Berlino in testa, hanno riportato sotto il controllo pubblico le rispettive compagnie dell'acqua, per contrastare aumento dei prezzi e riduzione della qualità. Una tendenza che sembra essere globale. Secondo un reportpubblicato nel 2015 dal Transnational Institute oltre 235 città in tutto il mondo hanno riacquistato la gestione dei servizi idrici negli ultimi quindici anni. Il modello della privatizzazione dell'acqua è già fallito ovunque. Ma, evidentemente, questo non importa ai creditori, né alle istituzioni europee.
Le misure d'austerity imposte in questi anni avrebbero dovuto mettere la Grecia sulla strada della crescita economica e della riduzione del debito. Invece, tra il 2008 e il 2016 il prodotto interno lordo è crollato di oltre il 40% (dati OECD) e il debito sul PIL si avvia a sfondare il 180% (prima della crisi ammontava a poco più della metà). In compenso, la devastazione sociale e politica del paese ellenico non conosce tregua, invorticata in una spirale senza fondo da cui Syriza ha deciso di non tirarsi fuori. Mentre il partito che stava con i movimenti approva le peggiori misure di sempre, le piazze greche stentano ancora a rianimarsi. Il trauma seguito alla firma del Terzo Memorandum non è ancora superato e alla rabbia che incendiava le strade sembra essersi sostituita una piatta rassegnazione. Speriamo non duri ancora a lungo.
Fonte: dinamopress.it
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