di Lorenzo Del Savio e Matteo Mameli
Gli abitanti di alcuni paesi italiani si sono opposti all’arrivo di migranti nelle strutture presenti sul loro territorio. È successo altre volte, e non solo in Italia, ma alcuni casi recenti, come quello di Goro, sono finiti sulla bocca di tutti perché hanno colpito donne e bambini, respinti da barricate notturne costruite dagli abitanti. I locali hanno fatto in piccolo ciò che Donald Trump vorrebbe fare in grande, costruendo il muro tra USA e Messico, o ciò che Viktor Orbán sta facendo con le forze di polizia dispiegate ai confini dell’Ungheria.
C’è chi ha lodato le barricate di Goro e chi invece le ha condannate. Come era prevedibile, sono state lanciate accuse di xenofobia e razzismo da una parte e accuse di ipocrisia e di tradimento dei propri concittadini dall’altra. Le barricate sono indifendibili. Ma proprio per questo bisogna evitare le polarizzazioni, che porteranno inevitabilmente alla costruzione di altre barricate, e bisogna provare ad analizzare più in profondità le dinamiche in questione.
Quelli che si oppongono alle migrazioni spesso appartengono alle fasce più povere dei paesi più ricchi. Chiamiamoli i più-poveri-fra-i-più-ricchi. Queste persone si sentono economicamente minacciate dalle migrazioni. Ed è questa paura che congiunge tendenze xenofobe ed esclusiviste a rivendicazioni sociali a favore delle fasce deboli dei paesi che sono meta dell’immigrazione.
Non si tratta solo di un meccanismo psicologico, quello per cui chi si trova in una situazione di relativa insicurezza economica è meno favorevole all’accoglienza. Le migrazioni, anche quando hanno effetti complessivi positivi sulla vita economica di un paese ricco, possono avere effetti distributivi negativi sui più-poveri-fra-i-più-ricchi. Vi è necessità di politiche redistributive perché i benefici raggiungano tutti.
Gli argomenti anti-immigrazione non sono quindi totalmente privi di fondamento. Ma allo stesso tempo occorre comprendere quanto le migrazioni e altri aspetti della globalizzazione siano potenzialmente benefici per la parte più povera del nostro pianeta. Si tratta di una forza liberatrice per centinaia di milioni di persone.
Non serve accettare l’intero programma neoliberale per vedere che l’integrazione economica globale ha arricchito alcuni paesi poveri, come non serve adottare una visione irenistica della migrazione per capire che migrare da un paese povero ad uno ricco spesso fa aumentare il benessere economico; e il benessere è un ingrediente fondamentale della libertà. Chi ha a cuore la libertà di tutti dovrebbe favorire con ogni mezzo questi processi.
Non si tratta insomma di umanitarismo, di proteggere persone disperate che fuggono da miseria e guerre. O non si tratta solo di questo. Sul pianeta ci sono paesi poveri e paesi ricchi, e gli abitanti dei primi faranno comprensibilmente di tutto per poter godere delle gioie dello sviluppo economico. Questo avrà necessariamente degli effetti sui paesi più ricchi. Ci sarà davvero un’invasione. Ma è un’invasione rivoluzionaria, potenzialmente liberatoria.
Se si vogliono favorire ed approfondire quei lati della globalizzazione che arricchiscono e liberano quelli che Frantz Fanon chiamava i dannati della terra, occorre abbattere le barricate. Bisogna impedire perciò che gli strumenti della democrazia nazionale e gli appelli all’autodeterminazione dei popoli vengano trasformati in una clava contro i migranti e contro i lati benefici della globalizzazione. Ma come addomesticare l’esclusivismo quando le fotografie della disperazione e i sermoni moralistici non funzionano più?
Ebbene, è necessario risarcire i più-poveri-fra-i-più-ricchi. Occorre fare politiche sociali più robuste a favore delle fasce deboli della popolazione dei paesi che sono meta delle migrazioni, quelle fasce che vedono la globalizzazione come una minaccia (spesso con fondamento). Queste politiche di compensazione vanno fatte non in nome della giustizia sociale confinata alla comunità politica locale o della difesa della cittadinanza nazionale. Vanno fatte invece con lo scopo di facilitare quegli aspetti della globalizzazione (non certo tutti) che sono desiderabili e liberatori.
I portavoce degli esclusivisti anti-immigrazione spesso sostengono che le oligarchie economiche globali favoriscono le migrazioni per arricchirsi alle spalle delle classi medio-basse dei paesi più sviluppati, ovvero di quelle persone che si trovano talvolta a dover accettare disoccupazione, salari più bassi, tagli ai servizi pubblici, ecc. Ma la teoria secondo cui esisterebbe un allineamento fra gli interessi delle oligarchie e quelli dei migranti è insostenibile e va rovesciata. Soltanto con una redistribuzione che intacchi le rendite delle oligarchie globali a favore di chi si sente minacciato dalle migrazioni – ovvero a favore dei più-poveri-fra-i-più-ricchi – i processi liberatori legati alla globalizzazione potranno proseguire.
Fonte: Micromega online - blog degli Autori
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