di Roberto Zaccaria
Il periodo formale di "par condicio" ha avuto inizio dalla data d'indizione dei comizi elettorali per il referendum e cioè il 28 settembre, ma tutti sanno che il periodo è diventato più stringente dalla data di pubblicazione del regolamento dell'Agcom e anche di quello della commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza. Man mano che si avvicina la data del 4 dicembre l'attenzione comprensibilmente cresce soprattutto nei riguardi delle tv e dei telegiornali. Per quante iniziative i leader programmino sul territorio, per quanto "pesino" i social network, tutti sanno che la partita pesante si svolge sui mezzi tradizionali, soprattutto negli ultimi giorni della campagna referendaria.
Televisioni e telegiornali giustamente si richiamano al primato della notizia e tollerano a fatica le imposizioni, le regole e anche le "gabbie" che la par condicio impone in maniera sempre più stringente, ma queste regole hanno un senso se nei principali paesi le applicano, sia pure con nomi diversi, in omaggio al principio di un confronto equilibrato, indispensabile soprattutto alla vigilia del voto.
La misurazione dei tempi offerti alle principali voci in campo può offrire dati quasi insignificanti se riferita a una singola giornata. Ci sono tante considerazioni che possono giustificare uno squilibrio o un diverso peso dei protagonisti. Per esempio nel commentare la decisione del Tar sul quesito referendario è giusto che parlino di più i protagonisti di quell'iniziativa rispetto a tanti altri e così via dicendo.
Quando però si estende il periodo di osservazione a una settimana o ai quindici giorni, i dati cominciano a parlare da soli e indirettamente rivelano gli indirizzi editoriali delle singole testate. Dalla sola lettura dei dati, a un occhio esperto, è possibile riconoscere l'atteggiamento di fondo di quella testata o di quel gruppo editoriale in favore di una delle due parti in campo.
Per questo è importante, in una partita così delicata, il ruolo dell'arbitro che nel nostro caso è rappresentato dall'autorità per la garanzia delle comunicazioni. Il nostro arbitro guarda i dati che vengono raccolti da un'agenzia specializzata (la Geca) ed applica le sue sanzioni. Le nostre leggi hanno reso quest'intervento molto garantista. Quando si registra uno squilibrio prima viene comminato un cartellino giallo (il richiamo), poi l'ordine di riequilibrio, poi infine la sanzione pecuniaria. Data la brevità della competizione questi interventi rischiano, come è successo in molti casi in passato di arrivare fuori tempo massimo.
Vediamo allora, proprio sulla base di questi dati, che cosa sta succedendo. Noi prendiamo in considerazione i dati ufficiali Agcom, che sono più significativi, perché più ampi (osservano tutti i tg e anche le trasmissioni extra tg), e i dati di Mediamonitor politica del Dipartimento CoRiS, dell'Università di Roma, La Sapienza, che ci offre informazioni, limitate ai principali tg serali, ma più tempestive.
Una prima considerazione appare molto chiaramente, guardando a entrambi gli osservatorii. Se si prendono in considerazione i servizi espressamente dedicati dai tg al referendum, le notizie appaiono (quantitativamente) limitate, a parte le giornate nelle quali esista un fatto di particolare rilievo. È ancora il caso, prima segnalato, della decisione del Tar sulla formulazione della scheda referendaria.
In questo caso il servizio si amplia. Ma può accadere anche il caso opposto e cioè che il tempo dedicato al referendum si riduca, quando altre notizie, magari drammatiche, come il terremoto, prendono il sopravvento. Esiste un sostanziale equilibrio negli spazi tra il Sì e il No.
Nel merito poi si possono rilevare due tendenze: Il Sì ha maggiore spazio come tempo di parola. Il No maggiore spazio come tempo di notizia. Il fronte del Sì è più concentrato (è più ridotto il numero dei soggetti che parlano) il fronte del No è più articolato. Questa è una scelta che possono fare gli strateghi della comunicazione oppure può essere un disegno (e in questo secondo caso sarebbe malizioso) delle singole testate.
Ma c'è un secondo fatto che in queste prime settimane emerge con chiarezza ed è lo spazio decisamente esorbitante che le principali emittenti offrono al presidente del Consiglio e al governo, non solo e non tanto sul referendum ma su un piano più generale. Questa proporzione è così anomala e così rilevante che l'Agcom ha cominciato a fare alcuni richiami formali nei confronti della Rai, di Sky e anche de laLa7. Si potrebbe obiettare che il governo è soggetto che naturalmente produce notizie e quindi questo tempo non si deve sindacare!
Sarebbe vero tutto questo se non vi fossero almeno due ragioni che militano in senso inverso. La prima considerazione è tratta da una regola contenuta nell'art.1 della legge n.515 del 1993. Ai sensi dell'art. 1, comma 5, della legge n. 515/93, dalla data di convocazione dei comizi elettorali, nelle trasmissioni informative riconducibili alla responsabilità di una specifica testata giornalistica registrata la presenza di candidati, esponenti di partiti e movimenti politici, membri del governo, delle giunte e consigli regionali e degli enti locali deve essere limitata esclusivamente alla esigenza di assicurare la completezza e l'imparzialità dell'informazione. Tale presenza è vietata in tutte le altre trasmissioni.
L'Agcom ha osservato in proposito che nel periodo elettorale la presenza di esponenti politici (candidati e non) è ammessa, oltre che nell'ambito della comunicazione politica e dei messaggi autogestiti, solo nei programmi di informazione ricondotti alla responsabilità di una testata e per le finalità espresse dalla citata norma. Dunque, indipendentemente dal ruolo istituzionale rivestito, ai candidati non può essere dedicato un uso ingiustificato di riprese con presenza diretta; inoltre, fino alla chiusura delle operazioni di voto, il tempo dedicato agli esponenti di governo deve essere rapportato solo alle loro funzioni governative e nella misura strettamente indispensabile ad assicurare la completezza e l'imparzialità dell'informazione.
Tutto questo sarebbe già abbastanza chiaro se non vi fosse un'altra motivazione e questa è più strettamente legata a questa competizione referendaria. Il governo e soprattutto il presidente del Consiglio a causa del ruolo assunto durante l'iter della riforma e anche dopo la sua approvazione è diventato il principale sponsor, il principale testimonial di questa riforma a favore del Sì.
Se così stanno le cose è evidente che qualsiasi apparizione del presidente del Consiglio, sia che parli di referendum sia che non ne parli, finisce con l'essere un obbiettivo sostegno alla causa del Sì. Gli esempi potrebbero essere infiniti, dall'enfasi sul viaggio da Obama negli USA (che tra l'altro ha dichiarato di sostenerlo anche nella causa referendaria) fino all'elencazione dei vari bonus contenuti nella legge stabilità. E di questo passo gli esempi potrebbero essere numerosi.
Se poi dai dati dei vari osservatori venisse fuori che la presenza del governo e del presidente del Consiglio nei vari telegiornali e anche negli spazi extra tg in questo periodo si avvicinasse sensibilmente al 50-60 per cento, allora il fenomeno diventerebbe preoccupante e diventerebbe allora molto arduo parlare ancora di par condicio!
Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore
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