di Dinesh Paudel e Gregory Reck
Tra le preoccupazioni sulla misoginia di Donald Trump e le mail di Hillary Clinton, la campagna e i dibattiti presidenziali di quest’anno, sono degenerati in una serie infinita di citazioni superficiali. Le questioni di “carattere” sono sotto i riflettori, dato che discussioni importanti sulle differenze di politiche sono quasi invisibili. Considerate l’argomento più ovvio, scomparso dalla corsa presidenziale del 2016: il cambiamento del clima. I giornalisti e i moderatori dei dibattiti, raramente fanno domande riguardo a questo. I sostenitori dei candidati di solito non lo citano come motivo preminente del loro appoggio.
Donald Trump ha liquidato il cambiamento del clima dicendo che è un complotto della Cina, Hillary Clinton ha detto che è un fatto reale e grave, ma poi non ne parla quasi mai di nuovo, Jill Stein lo prende sul serio ma pochi prendono lei sul serio, e Gary Johnson ci ha detto di non preoccuparci dato che la terra, comunque, andrà in fiamme tra qualche miliardo di anni. Questa è la portata della “discussione.” Nel frattempo, i media più importanti lo ignorano, in modo che possono concentrarsi su spettacoli simili alle telenovele.
Il problema più critico che minaccia la vita sulla terra è quasi dimenticato.
Questa assenza è ancora più sconcertante dato che il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, nel 2015 ha diffuso un rapporto che in cui si dichiarava che il cambiamento del clima era una la massima minaccia per la sicurezza nazionale e del mondo. L’Accademia nazionale delle scienze, ingegneria e medicina per anni ha pubblicato rapporti di avvertimento. Anche la Associazione nazionale dei commissari di assicurazioni, hanno riconosciuto le conseguenze catastrofiche del cambiamento del clima sulle compagnie di assicurazione.
Se vogliamo avere una discussione significativa su carattere, allora dovremmo vedere il collegamento tra il silenzio fragoroso sul cambiamento del clima, e quello che ci fa capire del nostro carattere nazionale. Non sono soltanto i nostri candidati e i media, ma tutti noi che sembriamo desiderosi di ignorare gli argomenti duraturi, a lungo termine, che sono realmente importanti. E il nostro dimenticare diventa la sofferenza di altre persone.
Stranamente, questa miopia sembra essere un tratto nettamente americano, non condiviso da altri nel mondo. Considerate, per esempio, la comunità di Saipu, in Nepal, che abbiamo visitato in luglio per raccogliere notizie sulle condizioni del dopo-terremoto dai contadini che praticano un’agricoltura di sussistenza. Rovinati dai terremoti nella primavera del 2015, la maggior parte dei residenti vivevano ancora in ricoveri provvisori costruiti di bambù e di scarti di legno. Aiuti significativi erano inesistenti. Quattordici mesi dopo i terremoti, la gente lottava ancora con tutta la grazia e lo spirito che potevano usare per riguadagnare una certa apparenza di vita normale. Cionondimeno, il ritmo della vita si era interrotto e molti parlavano solennemente di una perdita di dignità umana che accompagnava le loro nuove condizioni di vita.
Se qualcuno dovrebbe avere il diritto di ignorare qualcosa di astratto e globale come il cambiamento del clima, sarebbero queste persone che lottano per riprendersi dal disastro proprio di fronte a loro. Tuttavia queste storie sono sempre intrecciate con storie di preoccupazioni ancora più grosse. La più notevole di queste era il cambiamento del clima.
Negli scorsi 6 anni l’andamento metereologico in Nepal è diventato sempre più incostante. I ghiacciai si stanno ritirando, la neve si sta squagliando prima, le piogge monsoniche sono meno prevedibili e troppa pioggia o troppo poca, interrompe i tradizionali schemi dell’agricoltura. Per un paese di agricoltori, le conseguenza a livello nazionale sono disastrose. Di recente le Nazioni Unite hanno designato il Nepal come una delle 34 nazioni, per lo più africane, che sperimentano una grave precarietà alimentare dovuta a fattori climatici.
Durante il mese in cui siamo stati là, le terre agricole di Saipu avrebbero dovuto essere “nutrite” da costanti piogge monsoniche. Invece il cielo umido produceva soltanto brevi rovesci pomeridiani. Quando suggerivamo che il monsone poteva ancora arrivare, la risposta era qualcosa come: “Sì, ma ogni ora che non arriva è un disastro.”
Gli agricoltori di Saipu hanno una profonda conoscenza a lungo termine circa le variazioni del clima. La loro osservazione che l’interruzione dell’andamento meteorologico è dovuto al cambiamento del clima, non è una congettura, e non lo è la loro conoscenza della massima fonte del problema. Come ci ha detto un uomo mentre sorvegliava le sue capre e le sue mucche: “Le persone che stanno provocando il cambiamento del clima, ci stanno uccidendo.”
L’ironia internazionale di questa affermazione è chiara. Situato nel mezzo di quello che alcuni scienziati hanno definito “il terzo polo della terra” – l’Himalaya – il Nepal e la sua popolazione non hanno niente a che fare con le cause del cambiamento del clima. Questo piccolo paese e i suoi abitanti sono, tuttavia, un destinatario primario del disastro creato dagli eccessi del mondo industrializzato.
Il cambiamento del clima è stato discusso in tutto il Nepal tra tutti: dai contadini che praticano un’agricoltura di sussistenza, ai membri del parlamento.
Il silenzio durante la campagna presidenziale la dice lunga sul carattere del nostro paese. Mentre godiamo della liberalità del sistema globale, ignoriamo le conseguenze della nostra ricchezza. Per le persone di Saipu e per le altre regioni emarginate del mondo, quel silenzio è assordante.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Originale: non indicato
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0
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