di Alfonso Gianni
Man mano che crescono le inquietudini nel fronte del Sì su una possibile vittoria del No nel referendum del 4 dicembre, si moltiplicano le prese di posizione variamente motivate di diversi esponenti politici, di autorevoli giornalisti, addirittura di ministri a favore di un rinvio del voto. Vale solo la pena di ricordare che il governo stesso aveva già scelto la data più lontana possibile per il voto, con l'intenzione di fargli precedere la legge di bilancio approvata da almeno un ramo del parlamento; oppure o anche un accordo con la propria minoranza sulle eventuali modifiche all'Italicum; comunque con la determinazione di utilizzare tutte le occasioni e lo spazio temporale possibili - trasmissioni Rai di intrattenimento incluse - per la propria propaganda.
È quindi logico che Renzi - per il momento - respinga simili proposte. Eppure l'entrata in scena di Alfano, che è pur sempre ministro dell'interno e quindi responsabile delle operazioni elettorali, oltre che capo di una corrente politica, non può non essere vista se non come una ulteriore pressione e il delinearsi di una tattica del tipo: "intanto vai avanti tu poi vediamo".
Non mancano anche i pontieri, come Luciano Violante, che nei messaggi radiofonici si appella ai rappresentanti del No per mettersi d'accordo dopo il voto per eventuali aggiustamenti costituzionali, come se non bisognasse innanzitutto rispettare il voto dei cittadini, visto che tocca solo a loro a questo punto esercitare quella sovranità popolare che l'attuale Costituzione gli affida nei limiti previsti dall'articolo 1. Quello vero e vigente.
Naturalmente, come viene fatto per chiedere comprensione da parte della Ue sulle cifre della legge di bilancio che non tornano, viene chiamato in causa il lungo terremoto nel centro Italia. Una tragedia vera, ma che, proprio per questo, non dovrebbe essere presa a pretesto per il rinvio su un voto che decide della carta fondamentale di uno Stato per gli anni a venire.
D'altro canto è bene ricordare quanto accadde alcuni decenni fa. Il 6 maggio del 1976 si verificò un sisma magnitudo 6.4 della scala Richter in Friuli, che causò quasi mille morti, paesi rasi al suolo, centinaia di migliaia di sfollati. Eppure il 20 e 21 giugno di quell'anno si tennero regolarmente le elezioni politiche e furono quelle nelle quali il Pci toccò il suo massimo storico, confermando e ridestando più di una preoccupazione oltreoceano.
Quindi non può essere l'attuale prolungato sisma, per quanto drammatico e fonte di grandi sofferenze per la popolazione, a giustificare un rinvio. Le difficoltà organizzative per garantire il voto in quelle zone non certamente insormontabili. Ci vuole qualche cosa d'altro. E questo, secondo alcuni, potrebbe derivare dalla attesa sentenza del tribunale di Milano cui si è rivolto Valerio Onida, ex presidente della corte costituzionale, per contestare la legittimità di un referendum su un quesito unico, essendo ben 47 gli articoli della Costituzione modificati.
L'attesa della sentenza potrebbe anche non essere breve, avendo il tribunale 30 giorni di tempo per pronunciarsi. E potrebbe contenere un rinvio alla corte costituzionale per giudicare della costituzionalità della legge istitutiva dei referendum, la 352 del 1970, per la parte in cui non obbliga allo spacchettamento del quesito referendario. Come si sa i tempi della consulta non sono brevi.
Ma anche se la corte facesse in fretta e decidesse nel senso della incostituzionalità è assai dubbio che essa possa sospendere su sua iniziativa il referendum. È infatti contestabile il principio che essa possa procedere "per analogia" con quanto avviene nei conflitti di attribuzione dei poteri dello stato. Più probabilmente, in questo caso, la palla tornerebbe al presidente del Consiglio dei ministri e al capo dello Stato.
Il tentativo di lanciare il sasso, nascondendo la mano, da parte dei fautori del rinvio, verrebbe così vanificato. Addirittura con l'aggravante di avere coinvolto il presidente della Repubblica. Una tattica suicida, il cui esito non potrebbe che essere quello non solo di avere spaccato il paese in due, ma di avere indebolito ulteriormente l'autorevolezza delle istituzioni. Per queste ragioni la via maestra è quella che i cittadini esprimano il loro voto. Augurandomi che sia un chiaro No.
Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore
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