di Tonino Perna e Chiara Sasso
Torniamo a parlare di Riace, un vero miracolo nei progetti ambientali, nel recupero e trasformazione del borgo storico, nell’accoglienza dei richiedenti asilo, come esempio di rinascita della comunità e di risposta lavorativa per tanti giovani. Sempre in prima linea per l’emergenza sbarchi. Riace, segnalato da Fortune, ma ancora prima nel 2010, del World Mayor Prize, Domenico Lucano citato nella classifica dei sindaci fra i 23 finalisti, insieme a sindaci della Città del Messico e Mumbai.
Un esperimento concreto che viene copiato e moltiplicato in altre regioni. Tuttavia, a fronte di un’attenzione internazionale, (in questi giorni sarà presente Tokyo Tv), e l’arrivo di frotte di giornalisti, fotoreporter, filmaker, antropologi, ricercatori, Riace viene preso di mira da burocrazie che mettono in discussione pratiche decennali come l’uso dei cosiddetti bonus. Moneta locale utilizzata fra esercenti che ne accettano il valore simbolico, per ovviare agli storici e perenni ritardi dello Stato nel far confluire nelle casse del Comune i contributi per finanziare i progetti. Il che significa poter garantire l’acquisto dei beni di primissima necessità.
Questi bonus o banconote locali sono state negli anni stampate con immagini di persone vittime della mafia: Peppino Impastato, Rocco Gatto, Gianluca Congiusta, o di liberatori di popoli come Che Guevara, Martin Luther King, Nelson Mandela. L’uso di questi voucher (simili per servizio a quelli usati dalle agenzie di viaggio), funziona ed è servito in questi anni a ridurre drasticamente il malcontento dei richiedenti asilo. Per questo il sistema della moneta locale è stato adottato anche da altri comuni come Camini, Gioiosa Ionica, Stignano, Caulonia, Acquaformosa…
Non si capisce il senso di questo diktat: «Sospendere immediatamente l’uso di questi bonus» giungendo ad ipotizzare di «molteplici reati ascrivibili all’esercizio non autorizzato di tale attività». Uno Stato che ha perso il controllo sulla sua moneta, che si inchina alle cure da cavallo di Bruxelles, e poi fa la voce forte del padrone con dei piccoli Comuni che dovrebbe solo ringraziare dalla mattina alla sera perché sistematicamente si ingegnano per sopperire a carenze pubbliche e tolgono le castagne dal fuoco. D’altra parte è lo stesso governo che non ha preso minimamente in considerazione la proposta di Enrico Grazzini, ed altri valenti economisti e sociologici tra cui l’indimenticabile Luciano Gallino, di mettere in circolazione una moneta fiscale con la garanzia della Cassa Depositi e Prestiti.
Nelle città italiane ed europee, medie e grandi, esiste una via della Zecca in quanto fino al XIX secolo da Palermo a Milano in decine di città si stampava una moneta locale che circolava essenzialmente nel territorio comunale. Era una pratica assai diffusa fin dai tempi dell’impero romano ed ancor prima nelle città-stato greche. Si può dire che da quando è stata coniata la prima moneta (VIII secolo A.c.) hanno spesso convissuto due tipi di monete: in oro ed argento per il commercio con l’estero, in ferro, rame o altro metallo meno nobile per gli scambi in un territorio limitato (come quello di un Comune o di una Signoria o Principato nel Medio Evo). Addirittura in Israele, ma non solo, esisteva il siclo, una moneta sacra che veniva usata esclusivamente per tutte le attività che avevano a che fare col Tempio sacro di Gerusalemme. Non è un caso che nel racconto del Vangelo, quando Gesù scaccia i mercanti dal tempio, si parla espressamente anche di «cambiavalute». Che ci facevano? Non era un territorio straniero. Ma era uno spazio sacro in cui poteva essere usato solo il siclo e nessuna altra valuta.
Con l’avvento delle banche centrali e degli Stati nazionali, progressivamente, vennero eliminate tutte le Zecche Comunali in Italia come nel resto d’Europa. Ma, la storia come sappiamo, non procede linearmente e ciò che sembra appartenere al passato, a volte ritorna in altra forma. Così da una ventina d’anni assistiamo in tutto il mondo a tentativi per reintrodurre, a vario titolo, delle “monete locali complementari” o più esattamente delle “quasi monete”, ovvero strumenti monetari che hanno un grado di liquidità, e quindi di fiducia, leggermente inferiore a quella della valuta ufficiale, ma non per questo non funzionano come mezzi di scambio e di pagamento. D’altra parte, i buoni pasto che enti pubblici e grandi imprese private danno ai propri dipendenti vengono spesso utilizzati per gli acquisti nei negozi o esercizi pubblici (ristoranti ad esempio) convenzionati. E chi è più anziano ricorderà certamente come i gettoni telefonici, oggi spariti, valevano negli ultimi tempi 200 lire e venivano utilizzati proprio come le altre monete metalliche.
Questo accanimento nei confronti dei Comuni della fascia jonica calabrese andrebbe fermato, con una cittadinanza attiva a difesa di quel poco che funziona nel nostro paese. Altrimenti si dovrebbe avere il coraggio di dichiarare illegali i buoni pasto.
Fonte: Il manifesto
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