di Andrea Fabozzi
La Corte costituzionale può sospendere il referendum. Valerio Onida lo aveva scritto nel suo ricorso presentato al tribunale civile di Milano, lo ha argomentato in udienza e lo ha ripetuto ieri a margine di un convegno a Milano. Secondo il giurista, che è stato presidente della Consulta nel 2004, se la giudice milanese Loreta Dorigo dovesse accogliere i dubbi di costituzionalità sul quesito unico – che costringe i cittadini a esprimersi con un solo sì o un solo no sul complesso della riforma – «ci potrebbe essere un problema di sospensione ed eventualmente i poteri li avrebbe la stessa Corte costituzionale».
Allungandosi i tempi della decisione della giudice ordinaria – dieci giorni almeno, è stato comunicato giovedì – questo descritto da Onida resta l’unico scenario ancora in piedi per chi spera nel (o lavora per il) rinvio del referendum. A metà novembre, infatti, se Renzi volesse davvero allontanare le urne del 4 dicembre, potrebbe farlo solo con un blitz: una deliberazione del Consiglio dei ministri e su quella base un nuovo decreto del presidente della Repubblica per fissare la data a fine gennaio e dare tempo alla Consulta di esprimersi sulla costituzionalità della legge 352 del 1970 che disciplina il referendum. La politica, cioè, dovrebbe prendersi la sue responsabilità, come hanno spiegato sempre ieri due degli avvocati protagonisti del primo ricorso contro il quesito unico a Milano (Onida è arrivato dopo e il suo è un procedimento d’urgenza che precede la causa nel merito), Claudio Tani e Aldo Bozzi. «Il referendum non è “appeso a una toga”», hanno scritto, anche in risposta a quei sostenitori del No che, consultati i sondaggi, cominciano a mostrare timori per la «strategia giudiziaria» di attacco alla riforma costituzionale che può risolversi in una dilazione. In ogni caso, hanno spiegato Tani e Bozzi, se il problema del quesito unico sarà portato davanti alla Consulta, sarà il governo a dover «decidere di confermare la data del voto, con potenziale grave lesione del diritto dei cittadini, oppure rinviarlo».
Eppure è davvero molto difficile che il governo vorrà prendersi questa responsabilità. Renzi è stato molto netto nel negare ogni slittamento (seppure in relazione al terremoto) e soprattutto c’è l’intero fronte delle opposizioni all’attacco. Quella del presidente del Consiglio apparirebbe inevitabilmente una fuga (dai sondaggi negativi) e nessun precedente si potrebbe richiamare. Perché gli unici due casi di referendum spostati dalla scadenza legale riguardano referendum abrogativi. E sia nel 1987 (nel passaggio tra il governo Fanfani VI e il governo Goria) sia nel 2009 (governo Berlusconi) il rinvio passò dal parlamento e c’erano ragioni tanto solide da essere accolte anche dalle opposizioni. La soluzione Onida, con l’intervento autonomo della Consulta, toglierebbe palazzo Chigi dall’imbarazzo. Ed è il caso di notare come questo suggerimento ai giudici delle leggi sia l’unico punto di sostanziale differenza tra il ricorso Onida e quello, precedente, di Tani e Bozzi.
Per conoscere l’esito di entrambi bisognerà aspettare la metà di novembre. Sarà allora che verranno a soluzione le ben sei offensive giudiziarie contro il referendum che restano ancora in piedi (tre sono state chiuse). Oltre ai due ricorsi ordinari di Milano di cui si è detto, il 16 novembre si dovrà pronunciare il Tar su tre ricorsi (Onida, Codacons e adesso anche quello del professor Lanchester e del radicale Staderini, che si sono rivolti anche all’Ufficio centrale per il referendum). Ma soprattutto si attende il 15 novembre il giudizio delle Sezioni unite della Cassazione, sollecitate dal Codacons ancora sul quesito referendario, ritenuto ingannevole. È possibile che anche la giudice di Milano stia aspettando questa autorevole decisione.
Fonte: Il manifesto
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