di Arianna Di Genova
Sulle periferie si è detto di tutto, negli anni sono state esaltate come luoghi in cui ritrovare le emozioni di una vita intensa o come «malattie» disgreganti, che contagiano il tessuto sociale con le loro disfunzioni. Comunque la si metta, gli spazi metropolitani che escono dal «centro» hanno un loro comportamento speciale, che può essere raccontato dai loro stessi abitanti o nelle pagine di libri, da scrittori e scrittrici di professione. Il volume Centrifuga, edito da Sinnos (pp.208, euro 12) è partito da qui, dal bivio della scelta, coinvolgendo 29 autori per una narrazione della città e delle sue periferie.
A far nascere questa scommessa editoriale è stata l’iniziativa Leggimi forte, che da anni lavora in territori non facili della Campania, portando la letteratura fra i ragazzi, proprio a domicilio, nelle loro scuole. Racconto dopo racconto, germina così una strana antologia, per nulla istituzionale nei suoi percorsi e completamente a disposizione di un immaginario libero.
A far nascere questa scommessa editoriale è stata l’iniziativa Leggimi forte, che da anni lavora in territori non facili della Campania, portando la letteratura fra i ragazzi, proprio a domicilio, nelle loro scuole. Racconto dopo racconto, germina così una strana antologia, per nulla istituzionale nei suoi percorsi e completamente a disposizione di un immaginario libero.
Gironzolando tra i palazzi e i quartieri descritti, facciamo la conoscenza di Ciccio (il personaggio di Maria Franco), che ha solo gli amici del catechismo, una nonna che snocciola rosari e una casa finita a metà, senza piano superiore perché i soldi sono finiti («lo scheletro» lo chiama la madre quel vuoto grezzo sulla propria testa). Oppure, siamo invitati a salire sull’autobus n.2857 (con Isabella Paglia), là dove non è consentito ai neri sedersi. Ma questa volta andrà diversamente perché su quell’autobus c’è Rosa Parks che ha pagato il biglietto come tutti gli altri e si rifiuta di lasciare il posto a un bianco sfacciato.
Passeggiando tra viuzze e «casermoni» dall’aspetto non esattamente accattivante, possiamo ritrovarci seduti su una panchina con quella bambina descritta da Annalisa Strada che ogni tanto va a trovare il padre emigrato a Monaco (lui le manda i biglietti aerei), che cambia quartiere e lasciando il suo, pur anonimo, lo ripensa con nostalgia.
Chi abita ai Bastioni (dove anche gli insegnanti rinunciano all’incarico), invece, dice Fabrizio Casa in Stella stellina, le sere d’estate svolta solo con la moto, andando in città, superando la tangenziale e i pregiudizi dei fighetti. D’inverno, meglio demordere, dato che «la pelle ti si stacca dal freddo». L’alternativa per fare qualcosa in compagnia c’è ed è la collinetta: ci si sdraia con gli amici, si gioca a guardare le stelle e le figure che compongono le costellazioni. Fino alla magia.
Poi c’è Pasquale, vero ragazzo di periferia di Dacia Maraini, che sogna di cambiare vita con una rapina, immaginando la faccia degli impiegati e di don Alfio che lo paga una miseria, e anche Marco, undici anni (Luisa Mattia), che con gli amici vuole fare uno scherzo col fuoco al barbone Grigori. Ma le fiamme salgono sul piccolo Sandro e lui, il russo senza casa e ubriacone, lo salva, stringendolo a sé.
Fonte: Il manifesto
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