di Tommaso Di Francesco
Il Sultano Erdogan è all’offensiva. Dopo l’arresto del direttore di Cumhuriyet, l’unico giornale indipendente rimasto che ha denunciato la connivenza del governo turco con lo Stato islamico; e dopo avere incarcerato i due sindaci di Dyarbakir simbolo dell’autonomia kurda, nella notte di ieri ha arrestato dodici deputati dell’Hdp, il Partito democratico del popolo, insieme ai due leader Selahattin Demirtas e Figen Yüksekdag. L’Hdp è la principale forza turco-kurda dell’opposizione di sinistra, il terzo partito con 59 parlamentari e che nell’estate del 2014 ha scompaginato con la sua affermazione i piani presidenzialisti del Sultano.
Che, non contento di avere aperto tre fronti in Siria, praticando la zona cuscinetto contro i kurdi siriani dell’Ypg bombardati a più riprese al posto dei jihadisti; sta ora per intervenire in Iraq – in accordo con i kurdi del leader Barzani a Erbil, che il loro Stato in Iraq se lo stanno facendo nel disprezzo dei kurdi siriani e di quelli turchi – minando la fragile unità della coalizione anti-Isis a guida Usa ormai alla periferia di Mosul, da dove il governo di Baghdad dichiara che se Ankara entrerà in Iraq sarà guerra.
Ma non ha ancora finito di reprimere il fallito e assai incerto golpe di luglio, con l’epurazione di decine e decine di migliaia di insegnanti, giornalisti, militari, che Erdogan ora – anche di fronte al solo timido tweet della Mogherini – minaccia apertamente l’Unione europea.
Se non arrivano i visti europei per i cittadini turchi come da accordi, Ankara ci rispedisce tre milioni di profughi che ora ospita per noi in qualità di «posto sicuro».
Il Sultano non lo ferma più nessuno. Resta impunita la repressione che esercita, non a caso contro l’Hdp che propone una soluzione politica del conflitto con i kurdi.
Erdogan non è a cavallo né dell’Occidente né dell’Oriente, vocazione storica della Turchia. Riattiva la tradizione egemonica ottomana ma appartiene alla «democrazia» della Nato: fa guerre dentro e fuori, imprigiona, ricatta sui profughi merce di scambio con l’Ue. È lo specchio fedele delle nostre malefatte.
Fonte: Il manifesto
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