di Riccardo Chiari
«Non si può pensare solo al profitto, tagliando i servizi essenziali e la forza lavoro, cioè noi». La manifestante al presidio fiorentino di via Pellicceria – un migliaio di partecipanti – dà voce alla quasi totalità dei 140mila addetti di Poste Italiane, in sciopero generale per cercare di fermare la riduzione dei servizi, la carenza di personale, un ulteriore taglio degli uffici e dei centri di meccanizzazione postale come quello di Sesto Fiorentino. Tutto propedeutico al progetto di completare la privatizzazione, rinviata all’anno prossimo dal governo Renzi ma sempre nell’agenda dell’esecutivo e dell’ad Francesco Caio.
A poca distanza dalla sede centrale delle Poste di Firenze, in Palazzo Vecchio, la presidente dell’azienda Luisa Todini giudica «incomprensibile» l’agitazione: «Lasciatemi dire che se il primo motivo dello sciopero è la seconda tranche di privatizzazione, questa già da tempo è stata messa da parte, si sta riflettendo».
Parole che non convincono però le migliaia di suoi dipendenti scesi in piazza lungo la penisola, da Milano a Palermo passando per Napoli, Bologna, Cagliari e altri capoluoghi regionali. In Campania la manifestazione ha visto in piazza anche alcuni sindaci, che in questo modo hanno voluto denunciare la chiusura a singhiozzo già in corso degli uffici postali delle loro cittadine.
L’adesione allo sciopero è stata alta, con punte dell’85% in Emilia Romagna. Solo la Uil di categoria non ha seguito la mobilitazione messa in atto da Slc Cgil, Slp Cisl, Cobas Poste, Failp Cisal, Confsal Comunicazioni e Ugl Comunicazioni. «Il governo farebbe bene a convocare il sindacato – ha osservato la numero uno cislina Anna Maria Furlan – e ridiscutere la privatizzazione delle Poste e delle altre aziende pubbliche. Noi pensiamo che sia del tutto improprio in un momento come questo, tra l’altro con una situazione instabile sui mercati finanziari, pensare ad un’ulteriore tranche di privatizzazione».
Non è solo la (s)vendita a preoccupare i lavoratori e i loro delegati: «Sono a rischio almeno 20mila posti di lavoro sia nel settore postale che in quello finanziario», fanno sapere i sindacati di categoria. Che a Bologna hanno visto al loro fianco la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso: «Lo sciopero di oggi è riferito a un processo di riorganizzazione che non va avanti, e a un rapporto tra le scelte di riorganizzazione e l’assetto complessivo degli appalti e del funzionamento di Poste che non funziona. A questo si aggiunge il tema della privatizzazione e delle modalità con cui si intende farla, anche perché il rinvio non vuol certo dire che quel progetto sia stato abbandonato».
«Poste fa un servizio pubblico – ricordano i manifestanti – non è una semplice azienda. Il personale applicato agli sportelli e al recapito è insufficiente a garantire i servizi ai cittadini, è una situazione insostenibile. Per giunta il passaggio già avvenuto di quote azionarie alla Cassa depositi e prestiti, partecipata da Fondazioni bancarie e assicurative, sta provocando un conflitto di interessi, visti i nostri servizi che operano nello stesso settore».
«Sono a rischio i settori più deboli come il recapito e la logistica – denunciano ancora i postini – e ormai regna l’incertezza anche nei settori più forti come il bancario e l’assicurativo».
Nel mentre, fra carenza di personale, attrezzature obsolete e prepensionamenti a iosa, il postino arriva, quando va bene, un giorno sì e uno no per consegnare le lettere, i periodici e anche i quotidiani. Con tutto quel che ne consegue.
Fonte: Il manifesto
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